Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2014 alle ore 07:46.
L'ultima modifica è del 25 ottobre 2014 alle ore 10:25.

My24

Quelle morti che interrogano
I morti ci sono stati e molti che non è riuscita a salvare li rivede davanti agli occhi. «Due degli infermieri africani che lavoravano con me sono morti non per il loro lavoro nei due Centri di isolamento ma perché andavano a trattare i pazienti privatamente, nelle case, e lì si sono ammalati. Si è ammalato di Ebola anche l’uomo che guida l’ambulanza per trasferire i malati. Lo abbiamo curato, è sopravvissuto al virus ed è tornato a casa dove ha contagiato la moglie che è morta. Quando si sopravvive all’Ebola non ci si ammala più ma lo sperma degli uomini per i tre mesi successivi alla malattia è contagioso, il virus rimane per tre mesi nel liquido seminale. Adesso stiamo lavorando sull’educazione dei sopravvissuti perché abbiamo già avuto due donne che sono morte perché i mariti tornati a casa dopo essere guariti avevano avuto rapporti sessuali».

Rischio alto
Nonostante le attenzioni il rischio di ammalarsi è alto: «Certo che rischio la vita e la rischiano tutti quelli che lavorano con me perché siamo in contatto con la gente del posto. I malati non mi fanno paura, perché quando uno è ammalato prendi tutte le precauzioni possibili. Il problema è quando sei in mezzo alla gente. Per questo cerchiamo di evitare gli assembramenti, i mercati, le messe. E poi ci sono delle accortezze a cui attenersi con scrupolo. Bisogna sempre lavarsi le mani con acqua e ipoclorito. Usiamo sempre i gel sanitari per tenere le mani pulite. Ma ci proteggiamo solo nel caso in cui ci troviamo davanti a un paziente sospetto. Allora ci mettiamo i dispositivi di protezione individuali: occhiali, maschera, copricapo, la tuta con cappuccio, stivali, due paia di guanti e i copri stivali». Uno scafandro difficilissimo da sopportare per tutto il giorno con le temperature tropicali. «È come fare la sauna, ti manca il respiro, continui a sudare e a bere». Davvero faticoso resistere con questi ritmi, ma l’epidemia non aspetta.

Fatica quotidiana
«Sono sempre di corsa - racconta ancora la volontaria italiana - perché ho la responsabilità di questi due Centri di isolamento. Adesso coordino il lavoro di una trentina di persone, ma devo trovarne altre perché il nostro staff è in quarantena in questi giorni per i contatti che hanno avuto con i due infermieri morti e quindi ne sto reclutando altri. E non è facile perché hanno tutti paura. Sono terrorizzati e bisogna incentivarli, formarli, sostenerli». Un lavoro anche da psicologo.

A te, chi ti sostiene, le chiedo. «I miei gatti, i miei 5 gatti che trovo alla sera quando torno a casa, mi calmano, mi tranquillizzano. In Italia poi ho un compagno che mi sta aspettando.

Shopping24

Dai nostri archivi