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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2014 alle ore 16:28.
L'ultima modifica è del 06 novembre 2014 alle ore 16:31.

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La Corte Suprema in seduta a Tripoli (Epa)La Corte Suprema in seduta a Tripoli (Epa)

Doveva essere il Parlamento della” svolta”, il solo organo rappresentativo della “nuova Libia” su cui la Comunità internazionale aveva riversato – peccando di ottimismo - le speranze, salutando il voto del 25 giugno come il primo passo per arrivare alle elezioni presidenziali e allontanare il Paese dal baratro su cui da tempo si è affacciato.
A soli quattro mesi dal voto, la Camera dei rappresentanti, il nuovo Parlamento libico, è stata dichiarato illegittima dalla Corte Suprema. Il clamoroso verdetto, che rischia di precipitare la Libia in una guerra civile aperta, è stato festeggiato Tripoli con colpi di arma da fuoco sparati in aria dalle milizie islamiste che controllano da agosto la capitale. Di fatto la Corte ha annullato l'emendamento che aveva consentito le elezioni lo scorso 25 giugno, invalidando il risultato delle urne e tutte le decisioni che ne hanno fatto seguito. E un quadro che fa temere «un ulteriore deterioramento della situazione», ha sottolineato il neo ministro italiano degli Esteri Paolo Gentiloni.

L'ex regno di Muammar Gheddafi è ormai prigioniero di una situazione esplosiva che ha generato due Parlamenti e due Governi: da un parte il primo ministro Abdullah al-Thani e il suo nuovo - e più “laico” - governo riconosciuto dalla Comunità internazionale. Un Esecutivo, tuttavia, trasferito a Tobruk, ai confini con l'Egitto, e a 1.300 chilometri da Tripoli, per ragioni di sicurezza. Per un semplice motivo. Non controlla nemmeno le città circostanti. A meno di due ore di macchina , l'importante città di Derna è stata proclamata Califfato dalle milizie di Ansar al-Sharia, gruppo inserito dalla Casa Bianca nella lista delle organizzazioni terroristiche che non ha esitato a dichiarare l'alleanza con Abu Bakr al-Baghdadi , il “Califfo” dello Stato islamico. Duecento chilometri più a sud, Bengasi, la capitale della Cirenaica e secondo centro del Paese, è da mesi teatro di una guerra aperta tra milizie islamiche e forze governative.

Quanto alla Tripolitania, da più di tre mesi è in mano a una coalizione islamista composta da più anime. Dalle agguerrite milizie di Misurata, che guidano l'alleanza Fajr Libia, e che l'hanno strappata alle milizie di Zintan, e dagli onorevoli della Fratellanza musulmana.
Già tre giorni fa tirava una brutta aria. «Quel Parlamento non è accettato dai libici e ha perduto ogni legittimità: servono delle nuove elezioni», aveva dichiarato alla Agence France press Omar al-Hassi, vale a dire l'autoproclamato premier libico alla guida di quell'Esecutivo instaurato a Tripoli dalle milizie islamiche di Fajr Libia.
Al-Hassi, 55enne professore universitario si era presentato come “indipendente”. Ma né il suo Governo né il Congresso Nazionale, il precedente parlamento, sono riconosciuti dalla comunità internazionale.

La decisione della Corte Suprema, la massima autorità giudiziaria della Libia, è stata sollecitata da un deputato islamista, Abderrauf al-Manai, che insieme ad altri onorevoli ha boicottato le sedute del Parlamento a Tobruk. La ragione: la legislatura è incostituzionale, perché l'assemblea non si riuniva nè a Tripoli, nè nella seconda città del Paese, Bengasi come invece prevede la costituzione - provvisoria - libica .

Dal canto suo, la commissione legislativa parlamentare ha convocato un incontro di emergenza per cercare di sovvertire la decisione della Corte. «I deputati non riconosceranno un verdetto deciso sotto minaccia armata», ha scritto su Facebook da Torbuk il parlamentare Issam al-Jehani. Nessuna reazione, invece, da parte da al-Thani, nominato primo ministro ad interim.

Qualunque sia la ragione, si tratta di un episodio molto grave. Al quale si aggiunge un altro episodio altrettanto preoccupante. Perché tra martedì e mercoledì, dopo intensi scontri a fuoco, un gruppo armato non ancora identificato ha occupato uno dei più grandi giacimenti petroliferi del Paese, el-Sharara, nelle regioni meridionali. È l'ennesimo colpo all'industria petrolifera nazionale, che aveva dato decisi segnali di ripresa nonostante la cronica instabilità politica nel Paese. Senza el-Sharara la produzione scenderebbe da un milione di barili al giorno a 800mila barili. Per un Governo, il cui budget – già più volte mutilato - si basa quasi esclusivamente sulle entrate energetiche è una pessima notizia.

La turbolenta Libia sta destabilizzando la sponda sud del mediterraneo. Al suo esordio davanti al Senato, Gentiloni ha lanciato un monito da non sottovalutare: «Sosteniamo lo sforzo per impedire un ulteriore deterioramento della situazione e lo scivolamento verso la guerra civile, il rischio è molto grande». È una situazione difficile, ha ribadito il ministro degli Esteri, «che ha un impatto direttamente sul nostro Paese».

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