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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2014 alle ore 07:38.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2014 alle ore 14:26.

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Un dimostrante sfida i poliziotti schierati in assetto anti-sommossa durante gli scontri scoppiati nella notte a Ferguson, nel Missouri, a seguito del proscioglimento dell’agente Darren Wilson che il 9 agosto scorso uccise con ripetuti colpi di pistola un ragazzo afroamericano disarmato di 18 anni, Michael Brown (Reuters)Un dimostrante sfida i poliziotti schierati in assetto anti-sommossa durante gli scontri scoppiati nella notte a Ferguson, nel Missouri, a seguito del proscioglimento dell’agente Darren Wilson che il 9 agosto scorso uccise con ripetuti colpi di pistola un ragazzo afroamericano disarmato di 18 anni, Michael Brown (Reuters)

Il caso e' diventato nei mesi scorsi - e si è confermato ieri sera - ben più di un dramma locale. E' assurto a simbolo dell'irrisolta questione razziale e delle tattiche aggressive utilizzate dalle forze dell'ordine soprattutto nei confronti della minoranza afroamericana.

Il Grand Jury, composto di nove bianchi e tre afroamericani, avrebbe avuto bisogno di una maggioranza di almeno nove voti per procedere con una incriminazione. Da quanto si è appreso le testimonianze e le prove ascoltate o visionate sono state invece giudicate contraddittorie e inadeguate a procedere. Concordano sulla prima parte della ricostruzione degli eventi: Brown e un suo amico, dopo aver rubato sigarette in una tabaccheria, camminavano verso casa in mezzo alla strada quando è sopraggiunto Wilson in auto, che ha ordinato loro di spostarsi sul marciapiede. E concordano sulla conclusione: Wilson ha inseguito e colpito Brown con sei colpi di pistola, quattro al braccio destro e due alla testa. Nel mezzo, però, le versioni divergono. Alcuni testimoni hanno indicato che l'agente Wilson avrebbe iniziato la colluttazione, afferrando Brown per il collo. Avrebbe poi sparato al ragazzo, che dopo aver tentato di scappare avrebbe alzato le mani per arrendersi. Numerose altre però sostengono che sarebbe stato Brown ad aggredire l'agente nella sua auto e che questo, colpito da pugni, avrebbe allora afferrato la pistola e cominciato a sparare. Avrebbe poi inseguito e fatto ancora fuoco alla volta di Brown, mentre quest'ultimo tornava a rivoltarsi contro di lui.

Il Grand Jury non ha svelato le motivazione della sua scelta, nonostante la procura avesse promesso, in via straordinaria, di rendere pubbliche le testimonianze. Abitualmente i lavori di queste speciali giurie incaricate di valutare o meno l'esistenza di estremi di reato restano del tutto segreti, per garantire massimo anonimato e sicurezza ai testi.
La decisione non ha sorpreso gli esperti legali. È raro che poliziotti in servizio vengano incriminati: la dottrina sull'uso della “forza letale” da parte degli agenti, in caso di minaccia alla propria o altrui vita, è diversa in ogni stato e offre particolare discrezionalità in Missouri. Il Grand Jury non rappresenta tuttavia l'ultima parola sulla vicenda. Il Dipartimento della Giustizia ha ancora aperte due inchieste, una per violazione dei diritti civili, che finora sembra non aver trovato elementi per sospettare di razzismo Wilson. La seconda sull'atteggiamento dell'intera polizia di Ferguson, sospettata di discriminazione nei confronti degli afroamericani. Gli agenti sono in grande maggioranza bianchi mentre la popolazione, a Ferguson, e' per due terzi afroamericana.

L’appello del presidente Obama alla calma
«Siamo una nazione fondata sul rispetto della legge»: così il presidente degli Stati uniti Barack Obama ha rivolto un appello alla calma alle gente inferocita dalla decisione del Gran giurì di non processare Darren Wilson, l'agente che ha sparato e ucciso il 18enne disarmato Michael Brown il 9 agosto scorso a Ferguson. «Mi unisco ai genitori di Michael Brown nel chiedere a tutti coloro che contestano questa decisione di farlo in maniera pacifica», ha detto l'inquilino della Casa Bianca, definendo «comprensibile» la reazione della gente.

Dopo essersi rivolto alle forze dell'ordine, chiedendo loro di «dare prova di moderazione», Obama ha poi messo in guardia contro il tentativo di «dissimulare i problemi» legati al razzismo negli Stati Uniti. «Dobbiamo riconoscere che la situazione a Ferguson rinvia a sfide più importanti contro le quali il nostro Paese deve confrontarsi», ha sottolineato. «In troppe regioni del Paese c'è una profonda sfiducia tra le forze dell'ordine e le comunità di colore», ha insistito evocando «l'eredità della discriminazione razziale».
«Non è solamente un problema per Ferguson ma un problema per l'America. Dobbiamo comprendere questi problemi e fare dei progressi. Ma questo non avverrà attraverso il lancio di bottiglie o la rottura dei vetri delle macchine», ha aggiunto Obama.

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