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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2014 alle ore 12:50.
L'ultima modifica è del 01 dicembre 2014 alle ore 17:05.

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Il rublo continua a precipitare sul mercato dei cambi. Quella di oggi si annuncia come la peggiore giornata per la valuta russa dai tempi della crisi finanziaria russa del 1998. Dallo scorso giugno la valuta ha perso il 35 per cento nei confronti del dollaro. In un solo mese ha ceduto il 26% contro l’euro e il 27% contro il dollaro.

La moneta di Mosca è arrivata a perdere oggi l’8% rispetto a venerdì ed è stata scambiata a 53,29 sul dollaro e a 66,50 sull’euro, in entrambi i casi toccando nuovi minimi, prima di recuperare parte delle perdite e assestarsi intorno a quota 52,4 sul dollaro e 65,4 sull’euro. A spingerlo al ribasso è il crollo delle quotazioni del petrolio, principale prodotto da esportazione per la Russia, sceso del 10% dopo la decisione-shock dell’Opec, il cartello dei grandi Paesi produttori, di lasciare invariata la produzione.

La debolezza della valuta russa si riflette anche sulla Borsa di Mosca, con l’indice Rts denominato in dollari che cede oltre il 3% ed ai minimi da 5 anni, mentre l’indice in rubli (il Micex) sale del 2% e tocca i massimi dell’anno.

Petrolio e gas costituiscono i due terzi delle esportazioni russe e circa la metà delle entrate dello Stato. Il crollo dei prezzi ha dunque un impatto fortissimo sull’economia russa, anche se l’effetto sul bilancio federale è mitigato dal fatto che le entrate petrolifere sono espresse in dollari e dunque “beneficiano” del deprezzamento della moneta.

La Banca centrale russa ha smesso di intervenire a sostegno del rublo dallo scorso 10 novembre, quando ha dichiarato che sarebbe intervenuta solo se la caduta della moneta avesse messo in pericolo la stabilità finanziaria del Paese. Secondo diversi trader, oggi la Banca centrale è intervenuta di nuovo e questo spiegherebbe il recupero del rublo nelle ultime ore. «Viene da concludere - commenta l’analista di Standard Bank Tim Ash - che un rublo debole fa parte della risposta delle autorità russe al calo dei prezzi del petrolio e alle sanzioni occidentali perché rilancia la crescita del Pil aiuta il bilancio federale aumentando le entrate petrolifere espresse in valuta locale». Gli indicatori prospettici sembrano in effetti dar ragione a questa tesi se è vero che l’incide Pmi manifatturiero è salito a novembre ai massimi da oltre un anno: «Delle due l’una - osserva Alexander Mozorov, capo economista per la Russia di Hsbc - O l’industria beneficia della sostituzione di importazioni divenute troppo costose con manufatti locali oppure mal interpreta un temporaneo aumento della domanda legato a maggiori aspettative di inflazione».

In effetti l’inflazione si sta riscaldando, con l’indice dei prezzi al consumo in aumento dell’8,3% annuo in ottobre. Secondo la Banca centrale, l’inflazione arriverà alla doppia cifra nel primo trimestre del 2015, un livello pesante da sostenere per la popolazione, già alle prese con un’economia in stagnazione. Nel secondo e terzo trimestre dell’anno il Pil russo è cresciuto rispettivamente dello 0,7 e 0,8% su base annua.

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