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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2014 alle ore 06:36.

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Quel reticolato stretto e infinito di piccole e grandi aziende municipalizzate. È proprio qui che sembra annidarsi principalmente la piaga della commistione tra malaffare di impronta criminale e mala gestione derivata dall’inefficienza della politica locale. Oltre 8.000 società gestite a livello territoriale che rappresentano l’ultima non trascurabile appendice di quel socialismo municipale dal quale da tempo in molti chiedono di uscire rapidamente

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Con un intervento secco di riduzione drastica della galassia municipalizzate che è stato rilanciato nelle ultime ore da quasi tutti i partiti e dallo stesso premier, Matteo Renzi. A prospettare un intervento deciso era stato già negli scorsi mesi l’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli. Che in linea con gli obiettivi dell’Esecutivo aveva considerato possibile in 3 o 4 anni al massimo una riduzione da oltre 8mila aziende a partecipazione locale e regionale a non più di 1.000. A cominciare dal 2015 con la chiusura di almeno 2.000 partecipate, partendo da una fetta delle “scatole vuote” ovvero quelle con meno di 6 dipendenti (sono la bellezza di 3.000) a quelle che svolgono attività ben lontane dalle mission istituzionali.

Un piano che è però rimasto sulla carta e nella legge di stabilità ha trovato posto soltanto l’avvio della riforma che consente ai comuni di realizzare entro il prossimo anno il piano di potatura delle aziende. Con un doppio effetto negativo: rinunciare subito al risparmio di spesa che era stato quantificato, almeno per il primo anno, in non meno di 500 milioni (2-3 miliardi complessivamente); rimandare ancora una volta l’intervento per ridare efficienza alla galassia delle partecipate e stroncare i legami diretti e indiretti con il malaffare.

Legami fatti emergere puntualmente dalle numerose inchieste aperte negli ultimi anni dalle procure della Repubblica. Da Nord a Sud sotto la lente degli inquirenti sono finiti tutti gli ingranaggi chiave del meccanismo di gestione amministrativa e politica territoriale: appalti dei servizi pubblici, gestione dei servizi delle partecipate locali e di quelli erogati dai municipi e spesso affidati a cooperative. “Mafia capitale” rappresenta soltanto la punta di un iceberg. Qualcosa di più di una semplice piaga, che non a caso ha spinto lo stesso procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, a poche ore dall’operazione che ha scoperchiato oltre cinque anni di infiltrazioni e condizionamenti criminali nell’attività del Campidoglio, a lanciare un pesante grido di allarme nei confronti della politica sia centrale che locale: «Il rischio più alto che corriamo è quello del contatto fra il mondo criminale e quello politico, con un aumento esponenziale della pericolosità dell’uno e dell’altro». Basta scorrere gli atti delle tante, fin troppe inchieste, con cui Il Sole-24 Ore ha provato a riavvolgere quel lungo filo rosso del malaffare che lega la “sabauda” Torino e le calli di Venezia, il Duomo di Milano e il Vesuvio a Napoli, alle città dello Stretto.

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