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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2014 alle ore 06:36.

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Milano

Dall’Expo a Infrastrutture lombarde al «sistema Sesto»: sono i casi più eclatanti balzati agli onori della cronaca per corruzione e tentativo (spesso riuscito) di controllare gli appalti. Il caso Expo è il più recente. Lo scorso maggio sono finiti in custodia cautelare Angelo Paris, general manager della società Expo (partecipata dal Mef, dal Comune di Milano e dalla Regione Lombardia), ex funzionari politici con nomi già noti come Primo Greganti, Gianstefano Frigerio e Luigi Grillo e un imprenditore, Enrico Maltauro. Poi a ottobre l’inchiesta ha coinvolto anche l’ex subcommissario di Expo Antonio Acerbo. Il cuore dell’inchiesta era più in generale la corruzione nei grandi appalti della Lombardia, dall’Expo alla Città della Salute fino alle strade. La procura di Milano è arrivata prima che la corruzione fosse penetrata nelle gare.

È l’inchiesta su Infrastrutture lombarde ad aver preceduto quella su Expo. La società, controllata dalla Regione Lombardia, avrebbe, ai tempi in cui era diretta da Rognoni, elargito consulenze senza gare. Nel mirino la rete di imprenditori e professionisti legati a Comunione e liberazione. È ancora in corso il processo. C’è poi il processo a carico dell’ex presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, nonché membro della segreteria del Pd ai tempi di Pierluigi Bersani. È accusato di essere stato a capo di un sistema di corruzione a Sesto San Giovanni quando era sindaco. La sua giunta avrebbe fatto modifiche ai piani urbanistici per l’ex area Falck, mentre lui stesso avrebbe ricevuto denaro per pagarsi campagne elettorali. L’altra grande accusa a suo carico è quella di aver usato la grande partecipata provinciale, l’autostrada Serravalle, per sostenere la scalata di Unipol a Bnl, nel 2005.

Venezia

Lo scorso giugno sono stati arrestati ben 35 indagati, tra cui l’ex presidente del Veneto Giancarlo Galan, con l’accusa a vario titolo di corruzione, associazione a delinquere e finanziamento illecito. È il caso del consorzio del Mose, una società “ibrida”, a metà strada tra il pubblico e il privato, finanziata interamente dal Cipe, supervisionata dagli enti locali ma con imprese private nell’azionariato. Da lì veniva alimentato un sistema di fondi neri e di tangenti, funzionale ad arricchire alcuni imprenditori, accreditarsi con Regione Veneto e Comune di Venezia (che dovevano rilasciare autorizzazioni o pareri) e a superare i controlli di guardia di finanza, magistrato delle acque e corte dei conti.

Reggio Calabria

Entrambe sono in liquidazione, entrambe sono state messe sotto la lente per infiltrazioni mafiose dalla Commissione di accesso prefettizia, entrambe erano società partecipate dal Comune di Reggio Calabria, il cui consiglio comunale è stato sciolto per lo stesso motivo dal Governo il 9 ottobre 2012. Parliamo di Leonia spa, che si occupa di ambiente e raccolta e smaltimento dei rifiuti e di Multiservizi spa, che invece agisce sul versante della manutenzione ordinaria e straordinaria, dell’igiene, della pulizia, della sicurezza e delle altre attività ausiliarie dei beni demaniali e del patrimonio immobiliare del Comune.

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