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C'è del marcio in Scandinavia: così declina il modello nordico

Svezia, Finlandia, Norvegia e Danimarca si scoprono più fragili sotto i colpi della crisi economica, dell'insostenibile pesantezza del Welfare di fronte alle sfide demografiche e migratorie, delle tensioni innescate dal populismo. A complicare il quadro, ora, si aggiunge il crollo del petrolio

4. Il declino del modello nordico / Danimarca: un debito privato record

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Un'economia piccola come quella danese è stata particolarmente colpita dalla crisi finanziaria globale, esplosa qui insieme alla bolla immobiliare, con successivo tracollo delle banche. Il Paese è in ripresa progressiva, seppure ancora timida a causa di un insoddisfacente livello di produttività, investimenti ed export ancora deludenti. Lo testimoniano anche i dati: il Pil rimane oltre quattro punti percentuali al di sotto del livello pre-crisi, sebbene le rilevazioni più recenti rivelino un'accelerazione che fa ben sperare (nel terzo trimestre l'economia è cresciuta dello 0,5% congiunturale). Uno dei nodi che imbrigliano la ripresa danese è la spesa delle famiglie, motore decisivo dell'attività economica prima della crisi quando, tuttavia, veniva alimentato soprattutto dai debiti, in particolare i mutui concessi con grande generosità: non a caso il debito privato nel 2009 aveva raggiunto un livello record, il 320% del reddito disponibile. Oggi, dopo cinque anni di spesa stagnante e inevitabili sforzi di regolamentazione del settore bancario, il debito è sceso al 290% (fonte: Economist Intelligence Unit) ma rimane il più elevato tra i Paesi Ocse. In tempi di incerta ripresa e timori di ricadute è difficile attendersi che le famiglie si indebitino ulteriormente. I consumi, dunque, continuano a restare fiacchi. Rimane debole poi la performance del settore industriale, che come quello finlandese lamenta un deficit di produttività rispetto agli anni Ottanta.

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