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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2014 alle ore 14:48.
L'ultima modifica è del 15 febbraio 2015 alle ore 10:35.

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Il progetto per la realizzazione del gasdotto South Stream è «assolutamente chiuso in maniera definitiva». Lo ha detto l'amministratore delegato del gigante russo del gas Gazprom, Alexiei Miller, in un'intervista all'emittente Rossia-1, esplicitando quanto già annunciato pochi giorni fa dal presidente russo Vladimir Putin.

Tramonta, quindi, il progetto di portare il gas russo verso l’Ue aggirando l’Ucraina, nato più per ragioni politiche che economiche e - secondo vari esperti - diventato un peso per il Cremlino nel momento in cui il Paese cammina pericolosamente sull’orlo di una nuova recessione, considerata probabile già nel 2015.

E in vista della riunione del 9 dicembre tra Commissione Ue e Stati membri dell'Ue, confermata malgrado il dietro front russo, da Mosca arrivano messaggi poco incoraggianti.

«Il presidente russo ha approfittato del momento di tensione con l’Europa per mettere in stand by un piano super-costoso», spiega ad Askanews una fonte vicina al governo russo, «in questo senso, sì, come ha detto Juncker, la palla è nel nostro campo, ma l’Ue non potrà giocare alle sue condizioni, se dovesse ripartire la partita. Cosa che non è affatto probabile, sul breve o medio termine.

La cancellazione del progetto per la Russia - e in diversa misura per gli azionisti del consorzio South Stream, Eni, Edf e Wintershall - significa non dover investire enormi somme in una condotta che, sostanzialmente, è stata pensata per ragioni politiche, per sostituire il transito del gas russo sul territorio ucraino.

Un progetto dai costi esorbitanti: solo per la parte offshore, dalla cittadina russa di Anapa lungo i fondali del Mar Nero, era previsto un investimento di almeno 14 miliardi di euro, più altri 9,5 miliardi per la tratta «europea», dalla costa bulgara sino all’Austria.

Un bel risparmio, insomma, per le casse russe, si concorda da più parti. «La principale ragione per l’inversione di rotta di Putin sono i soldi», commenta anche l’Economist, facendo notare che il vero problema russo è rappresentato dai prezzi bassi del petrolio e relative basse entrate. In più «il colosso dell’energia statale Gazprom non ha mai amato questo progetto», proprio perché poco difendibile dal punto di vista economico.

I Paesi dell’Europa che avrebbero dovuto partecipare, invece, stanno già facendo i calcoli in termini di perdite. La Bulgaria ha fatto notare che i mancati proventi dal transito della via del gas che non si farà sono di almeno 400 milioni l’anno, cifra ragguardevole per il Paese più povero dell’Ue.

L’italiana Saipem, che aveva ottenuto due contratti per 2,4 miliardi di euro relativi a due linee del gasdotto e che ieri ha ricevuto la notifica della cancellazione del progetto, deve mettere in conto 1,25 miliardi di mancati ricavi, ha avvertito l’ad Umberto Vergine. I Paesi balcanici, Serbia in primis, sono da parte loro disperati dall’idea di perdere sia i proventi dal transito che quelli prospettati da Mosca per lo stoccaggio del gas.

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