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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2014 alle ore 20:44.
L'ultima modifica è del 04 dicembre 2014 alle ore 22:05.

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La comunicazione ufficiale che Saipem attendeva per capire il destino di South Stream – e del suo contratto di appalto da 2 miliardi di euro – alla fine è arrivata: i lavori per posare i tubi del gasdotto sui fondali del Mar Nero sono sospesi. Fino a quando, non è dato saperlo.
Il messaggio trasversale che arriva dai russi sembra confermare che il progetto della pipeline non è ancora morto, nonostante le dichiarazioni rese lunedì dal presidente Vladimir Putin e dal ceo di Gazprom Alexey Miller. Anche Bruxelles del resto ha lasciato la porta aperta al dialogo: proprio ieri il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha espresso la speranza di poter ancora «risolvere tutti i dettagli tecnici, compresi quelli relativi al Terzo pacchetto energia» nell'incontro già programmato coi russi il 9 dicembre.

Per Saipem tuttavia la situazione non è ancora del tutto chiara. Nella nota diffusa per comunicare la notifica – che «riguarda tutti i mezzi navali ad oggi impegnati nelle attività relative alla posa delle tubazioni»– la controllata Eni sottolinea che «allo stato attuale non è possibile determinare gli impatti economici della sospensione, in quanto non è nota la durata né è prevedibile la decisione finale del cliente».

In un'intervista al Sole 24 Ore l'ad di Saipem, Umberto Vergine, aveva quantificato in 1,25 miliardi di euro il mancato introito nel 2015 in caso di fermata del progetto. Sarebbe inoltre ipotizzabile, aveva aggiunto, «una carenza di margini significativa e un fermo delle navi con relativo costo». Il contratto sottoscritto dalla società italiana comprende clausole che la proteggono sia in caso di cancellazione che di interruzione dei lavori. Ma queste, ha ammesso Vergine, «non ci consentirebbero di avere gli stessi risultati che conseguiremmo se si svolgesse il progetto».

A pochi giorni dalla visita di Putin, intanto, in Turchia si inizia già a gettare acqua sul fuoco rispetto all'idea di costruire con i russi una pipeline alternativa al South Stream. La società locale Botas ha siglato con Gazprom un memorandum di intesa non vincolante. Ma Ankara – che già oggi acquista da Mosca circa il 60% del gas e coi russi sta costruendo anche una centrale nucleare – non ha nessun interesse ad accelerare sul progetto. Politicamente ed economicamente le conviene investire sul ben più concreto Corridoio Sud, che collegherà il Mar Caspio con l'Italia. La tratta turca (destinata a connettersi con Tap) è il gasdotto Tanap, di cui Botas possiede il 30%. Entro fine anno ci entrerà anche Bp col 12%, mentre il 58% resterà all'azera Socar, intenzionata ad avviare la costruzione in aprile.

Gazprom potrebbe tentare di usare quel tubo, che potrebbe essere ampliato in futuro da 16 fino a 31 miliardi di cubi di capacità, per portare in Europa il suo gas aggirando l'Ucraina (specie in mancanza di South Stream). L'ipotesi è stata descritta alla Tass da Alexey Grivach, vice presidente del Fondo per la sicurezza energetica russo. Ma non è detto che sia la benvenuta.

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