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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2014 alle ore 16:18.
L'ultima modifica è del 08 dicembre 2014 alle ore 07:50.

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Ignazio Marino. (LaPresse)Ignazio Marino. (LaPresse)

«Per Roma potrebbero esserci tre ipotesi, dopo la valutazione delle carte dell’inchiesta: o un accesso agli atti, o lo scioglimento o una terza via che prevede di non intervenire essendo in corso l’attività giudiziaria». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha chiarito le vie possibili per il Campidoglio dopo l’inchiesta su “Mafia Capitale” che ha rivelato il presunto sodalizio mafioso con a capo l’ex terrorista dei Nar Massimo Carminati. Pecoraro ha precisato che prima dovrà riferire al ministro dell’Interno Alfano e che allo stato non è comunque «stato deciso nessun invio di commissari prefettizi con compiti ispettivi».

Dal canto suo, il sindaco Ignazio Marino tiene duro: «A dimettermi non penso proprio». E stamane, a margine della convention “Factory365” dei giovani dem, ha ironizzato: «Secondo voi ho affrontato un anno e mezzo di cambiamenti così radicali per poi dire “ho scherzato, adesso vado alla spiaggia”?».

Città non mafiosa ma aggredita da criminali
Marino è arrivato in bici, accolto da una folla di cronisti. «In questo momento la mia scorta siete voi», ha scherzato con chi gli faceva notare che il prefetto gli avesse raccomandato la scorta e sconsigliato di usare la bicicletta. «Ho visto che le persone erano molto contente di vedermi in giro per la città. Ho ricevuto tante parole di sostegno, di supporto. Credo sia giusto farsi vedere nella normalità in una città che non è mafiosa ma che ha subito degli schiaffoni violenti da persone criminali».

Il Comune si costituirà parte civile
Tanti applausi hanno accolto il primo cittadino alla convention dem. «Con noi gli affari sono finiti», ha affermato Marino, che ha annunciato che il Comune si costituirà parte civile «perché vogliamo che quei soldi tornino alla città». «Si vergognino e se ne vadano da questa città. Noi stiamo dall’altra parte». Sull’ipotesi scioglimento del Comune per mafia, il sindaco ha ribadito: «Io posso dare un giudizio da sindaco, non tecnico. Non è ancora iniziata la valutazione delle carte da parte del prefetto. Ma il Comune è sano, la stragrande maggioranza dei dipendenti sono persone perbene come anche la mia Giunta. In questo momento non credo ci sia il pericolo di infiltrazione mafiosa nell’amministrazione». Porte aperte, però, se il prefetto dovesse ritenere necessario l’invio degli ispettori in Campidoglio: «Noi apriremo loro le porte così come fatto in passato quando siamo stati noi stessi a chiamare gli ispettori del Mef per farci certificare i conti capitolini all’inizio del mandato».

Boschi: Marino continui a governare
Contro lo scioglimento del Comune si è schierata la ministra Maria Elena Boschi. «Perché si arrivi a commissariare un Comune - ha detto nel corso de “L’intervista” su SkyTg24 - ci vogliono degli estremi precisi e in questo caso non ci sono. Marino deve continuare a governare la città, e a farlo bene. Anche perché, a quanto mi risulta, non è Marino a essere indagato ma Alemanno».

Diotallevi e De Carlo referenti di Cosa Nostra
Intanto si chiariscono alcuni aspetti dell’indagine: i boss Ernesto Diotallevi e Giovanni
De Carlo (l’ultimo a essere arrestato, tre giorni fa, dai carabinieri dei Ros mentre era all’aeroporto di Fiumicino) sono ritenuti referenti di Cosa Nostra nella capitale e
per questo sono indagati dalla procura di Roma per associazione a delinquere di stampo mafioso. Riscontri sul ruolo di Diotallevi e di De Carlo emergono anche da un’intercettazione del 2012. Diotallevi, accusato di aver fatto parte della Banda della Magliana e poi assolto, viene indicato come appartenente a Cosa Nostra dal collaboratore Salvatore Cancemi, che parla anche dei «suoi rapporti con Pippo Calò». Una circostanza di cui riferisce anche il superpentito Francesco Marino Mannoia.

I lavoratori della coop 29 giugno: non siamo mafiosi
Intanto i dipendenti della cooperativa 29 giugno, presieduta da Buzzi, prendono le distanze dai dirigenti, quasi tutti in carcere: «I lavoratori non sono mafiosi». «Siamo rimasti in silenzio per qualche giorno, consci fin da subito che tutto questo avrebbe avuto ripercussioni sulle nostre vite - scrivono in una nota - ma ora è tempo che vengano fuori
le nostre parole. Troviamo insopportabile che il nostro lavoro e le nostre storie personali vengano associate al mondo squallido e criminale che sta venendo fuori dall’inchiesta».

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