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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2014 alle ore 18:58.
L'ultima modifica è del 18 dicembre 2014 alle ore 21:02.

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L’orrore dell’Isis sembra non avere mai fine. Il ministro per i Diritti umani dell’Iraq, citato dalla tv panaraba al-Arabiya, ha comunicato che oltre 150 donne irachene sono state uccise dai jihadisti per avere rifiutato di sposare esponenti dello Stato islamico. La strage sarebbe avvenuta nella città di Falluja e tra le vittime vi sarebbero state anche alcune donne incinte. Sul campo, invece, i peshmerga curdi - coadiuvati dai raid della coalizione internazionale a guida Usa - hanno conquistato un centinaio di chilometri quadrati nella zona del monte Sinjar, a nord ovest del Paese, nei pressi della frontiera siriana, zona abitata in prevalenza dalla minoranza yazida. L'assalto delle forze curde, scrivono i media del Kurdistan iracheno, è iniziato ieri, con un massiccio sostegno aereo dei caccia della coalizione internazionale anti-Isis. Dopo le prima ore di furiosi combattimenti, i peshmerga «hanno conquistato tre villaggi che erano sotto il controllo dell'Isis e ripreso possesso del triangolo tra Sinjar e Rabia lungo il confine siriano». «Oggi - ha annunciato Masrour Barzani, figlio del presidente Massoud, a capo del consiglio di sicurezza del Kurdistan - i peshmerga hanno raggiunto la montagna, liberando una vasta area. Oltre 100 miliziani dell'Isis sono stati uccisi». «Ora abbiamo aperto un corridoio, e presto libereremo la regione dallo Stato islamico», ha aggiunto. Forze riconducibili all’Isis, invece, si troverebbero ormai in prossimità delle alture del Golan, vicino al confine con Israele, scrive il quotidiano Haaretz, mentre il capo militare della coalizione internazionale, generale James Terry, afferma che ci vorranno «minimo tre anni» per raggiungere un punto di svolta nella lotta contro lo Stato islamico.

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