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Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2014 alle ore 11:27.
L'ultima modifica è del 19 dicembre 2014 alle ore 15:13.

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ROMA - Nella nozione di “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento potrebbe rientrare anche la fattispecie di «scarso rendimento». Mentre nei licenziamenti disciplinari si va verso un mini-restyling della legge Fornero: il reintegro nel posto di lavoro sarà possibile solo nei casi di «non sussistenza del fatto materiale» (oggi la tutela reale scatta in due ipotesi: il fatto non sussiste - non si fa quindi riferimento alla indicazione materiale -; il medesimo fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base dei Ccnl o dei codici disciplinari applicabili).

Continua l'opera di cesello dei tecnici di Palazzo Chigi e ministero del Lavoro per arrivare a una bozza definitiva del decreto con la nuova disciplina del contratto a tutele crescenti, atteso sul tavolo del Consiglio dei ministri la mattina del 24 dicembre, assieme al Dlgs sulla nuova Aspi.

Oggi il ministro Giuliano Poletti incontra le parti sociali per illustrare i contenuti dei provvedimenti sui quali, tuttavia, restano diversi nodi da sciogliere. A cominciare dall'eventuale introduzione, nelle fattispecie di licenziamento disciplinare, della clausola di “opting out” per consentire all'impresa di poter comunque pagare un indennizzo al posto del reintegro, come avviene in Spagna e Germania.

Sembra ormai definita, invece, la partita delle piccole imprese: si applicheranno le nuove regole, dimezzando gli importi degli indennizzi e con un tetto di 6 mensilità (per non peggiorare il regime attuale). Sui licenziamenti collettivi è ancora aperta la riflessione e le difficoltà tecniche per superare la legge 223.

L'addio al reintegro interesserà i licenziamenti per motivo economico e organizzativo, che probabilmente ricomprenderanno, come detto, anche lo scarso rendimento. Del resto «già oggi la giurisprudenza è pacifica sul punto che lo scarso rendimento può costituire anche giustificato motivo oggettivo di licenziamento», ha spiegato il giuslavorista di Sc, Pietro Ichino. Ma per Cesare Damiano (Pd) la formula dello scarso rendimento è «per sua natura fortemente arbitraria per licenziare un lavoratore». Sul fronte dei disciplinari, invece, la soluzione ipotizzata dal Governo è, nei fatti, una piccola modifica alla legge 92, e ciò non piace a Maurizio Sacconi di Area Popolare (Ncd-Udc) secondo cui invece, «in coerenza con i principi della delega, la reintegra deve essere limitata ai soli casi del licenziamento discriminatorio o infamante». E se si decidesse diversamente «il Governo è a rischio» ha fatto sapere ieri il senatore.

Ancora da sciogliere è poi il nodo dell'esenzione fiscale per l'indennizzo nella fase di conciliazione standard (che può variare da una mensilità fino a un massimo di 16). L'Esecutivo vorrebbe ridurre drasticamente il contenzioso e lasciare la gestione del licenziamento alle singoli parti (cioè datore e lavoratore). Ma la conciliazione va sostenuta: l'indennizzo offerto dall'impresa non può chiudere esclusivamente il licenziamento, in quanto il lavoratore, accettata la somma, potrebbe fare causa su altri aspetti del rapporto di lavoro, come straordinari e festivi. Ecco perché sarebbe opportuno consentire conciliazioni onnicomprensive, non solo davanti alle direzioni provinciali del lavoro, ma anche in sede sindacale, agevolate con il riconoscimento dell'Aspi e di eventuali incentivi all'esodo. Sul decreto Aspi i dettagli da definire sarebbero ancora numerosi. Ma «ci sarà», ripetono i tecnici in vista dell'incontro odierno con le parti sociali, «perché non vogliamo rinviare un aspetto così cruciale della riforma, quello delle tutele estese».

L'ipotesi circolata ieri è che alla nuova Aspi, di durata crescente fino a 24 mesi, si potrebbe accedere anche con sole 13 settimane di contratto, che è la soglia oggi prevista per la mini-Aspi. Una scelta che, se confermata, estenderebbe di molto la platea dei lavoratori potenzialmente assicurabili in caso di perdita del posto.

Non dovrebbero cambiare le aliquote di contribuzione (1,31% e maggiorazione dell'1,4% per i contratti a termine) ed è ancora da capire se ci sarà o meno una armonizzazione delle medesime aliquote oggi prevista nei diversi settori produttivi.
Tutte scelte che devono essere condivise con l'Economia e la Ragioneria generale dello Stato. Oggi si capirà se, al termine della riunione in sala verde a Palazzo Chigi, è stata trovata la quadra o se servirà ancora qualche giorno di lavoro fino alla vigilia di Natale.

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