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Obama, il 2015 parte al contrattacco

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Obama, il 2015 parte al contrattacco

  • –Mario Platero

messaggi dall’america

Dopo le sanzioni contro

la Corea del Nord per il caso Sony, il nuovo anno potrebbe portare a un riavvicinamento tra Stati Uniti e Iran

NEW YORK

Una cenetta in famiglia da Nobu a Waikiki, una partita a golf (la 54esima dell’anno) e poi la partenza per Washington dalla base di Pearl Harbor-Hickam a Honolulu. La vacanza è finita, Barack Obama rientra oggi dalle Hawaii dopo 16 giorni al mare, in una splendida villa in affitto a Kailua. Da domani al lavoro, perché martedì si insedierà il nuovo Congresso a maggioranza repubblicana e partirà una nuova fase politica in America, con conseguenze ancora sconosciute sia sul piano interno che su quello internazionale. Tanto più che l’interazione fra Casa Bianca e repubblicani resta difficile. Chi aprirà a chi? Non lo sappiamo. Ma un fatto nuovo c’è: improvvisamente Barack Obama si sta dando un gran da fare, come se la sconfitta del 4 novembre lo avesse rivitalizzato, anzi “liberato”, come ha ammesso lui stesso in un’intervista alla National Public Radio.

Dopo l’ordine esecutivo per rivoluzionare la condizione di milioni di immigrati illegali, dopo l’apertura a Cuba, il presidente ha firmato venerdì un altro ordine esecutivo con nuove sanzioni contro la Corea del Nord. Aveva promesso ritorsioni dopo «l’attacco contro un’azienda americana (la Sony, ndr) e dopo l’intimidazione di artisti», e ha mantenuto l’impegno passando di nuovo all’azione: una decina di notabili nordcoreani saranno perseguiti dal Tesoro americano che cercherà di congelare i loro conti e di rendergli la vita impossibile. Obama ha ignorato chi proclamava l’innocenza della Corea del Nord e ha anticipato che ci saranno altre sanzioni.

Tanto per confermare di non essere interessato alla passività, il presidente ha detto che gli piacerebbe riaprire le relazioni diplomatiche anche con Teheran, e che spera di poter chiudere un accordo con garanzie per un disarmo nucleare. Questo mentre il senatore repubblicano Lindsay Graham, uno dei suoi prossimi interlocutori al Senato repubblicano prometteva invece nuove sanzioni contro l’Iran entro la fine di gennaio. Non solo, Obama, sbeffeggiato dai repubblicani per la sua “debole reazione” contro il virilissimo Putin, oggi dimostra di avere avuto ragione anche su quel fronte: meglio la linea delle sanzioni che una risposta impulsiva all’invasione dell’Ucraina e all’annessione della Crimea alla Russia. Oggi in effetti è Putin a essere in difficoltà.

L’economia russa, anche per il calo del prezzo del greggio, è in caduta verticale e Obama all’ultimo vertice del G-20 di Brisbane ha strapazzato Putin dimostrando di aver avuto, come si dice da queste parti, “the upper hand”, “la mano vincente”. Come si tradurrà questo attivismo dell’Obama “liberato” nel rapporto coi repubblicani? «Non starò fermo ad aspettare progetti di legge in arrivo dalla nuova maggioranza. Dovrò firmare le leggi e se necessario potrò usare il mio diritto di veto. Soprattutto non potranno più bloccare le ruote del Parlamento, dovranno essere propositivi in modo pratico», ha detto Obama alla National Public Radio.

In effetti i repubblicani hanno bisogno di lui. Martedì, all’insediamento, avranno una maggioranza di 54 seggi al Senato contro i 48 democratici e di 246 seggi alla Camera contro i 188 democratici. Una maggioranza forte, ma non ci sono i due terzi necessari per superare un veto presidenziale. Il 4 novembre, il giorno della sconfitta politica e della perdita del Senato, Obama sembrava un super “lame duck”, un’anatra zoppa prima ancora del tempo. Ma è lui stesso ad aver descritto nell’intervista alla Npr la sua “liberazione”: «Oggi posso guardare indietro al 2014 e posso dire che oggi siamo posizionati bene come non lo siamo stati in molti anni – ha detto Obama - l’economia va molto bene. C’è più che mai bisogno di leadership americana nel mondo e c’è un senso liberatorio nel fatto che il nostro lavoro ha portato i frutti che aspettavamo. E allora, superate le sfide più difficili, posso dedicarmi ad altre sfide che non ho ancora potuto affrontare davvero, come l’immigrazione e la normalizzazione delle relazioni con Cuba, è come se ci fosse un passaggio da cose che dovevo fare a cose che volevo e voglio fare, ecco in questo senso mi sento più libero».

Prendiamo la possibile apertura a Teheran. Non si tratta di una improvvisazione. L’America di Obama sta lanciando un messaggio molto chiaro all’Arabia Saudita: se l’Iran era il “diavolo” per i finanziamenti a Hezbollah ed ad altri movimenti estremisti, gli estremisti di radice sciita non sono mai arrivati a tagliare le gole come hanno fatto e fanno gli estremisti sunniti dell’Isis. Sono stati estremisti sunniti non sciiti ad aver attaccato le due torri a New York, alcuni, come Osama Bin Laden, di origine saudita. Sono i sauditi ad aver finanziato la resistenza contro il regime siriano dando ossigeno direttamente o indirettamente all’Isis. Non sappiamo fino a che punto si spingerà Obama, ma sappiamo che in questi due anni che gli restano continuerà a darsi da fare in politica estera. Per l’economia le cose a questo punto procedono, vi saranno altre iniziative ad esempio per il manifatturiero.

In termini pratici la bussola per la navigazione politica americana a partire da domani e dai nuovi equilibri fra Parlamento e Casa Bianca prevede vari tempi: il 2015 sarà l’anno in cui Obama e i repubblicani dovranno dimostrare di sapere e poter lavorare insieme. Qualche passo in avanti è possibile, come dimostra l’accordo per il finanziamento del governo americano. Sul tappeto anche il “Fast Track”, l’autorità speciale per chiudere i negoziati commerciali aperti sia con la regione del Pacifico che con l’Europa. C’è il problema dell’educazione e della riforma dei prestiti universitari, ci sarà una battaglia sulla riforma sanitaria, che pure ora comincia a funzionare. Un piatto molto pieno insomma per questo 2015. Poi, con il 2016 si passerà alle primarie e alle elezioni e ogni speranza di concludere qualcosa di molto significativo sul piano interno quasi certamente cadrà, risucchiata dal dibattito elettorale. Ci saranno dunque dicotomie e differenze. Ma alla fine, per rispondere a uno dei quesiti iniziali, se si vorrà concludere qualcosa in questo anno chiave, dovrà essere più l’Obama liberato a lavorare coi repubblicani piuttosto che il viceversa. Al di là di ogni azione e retorica sono loro ad avere vinto le elezioni. E questo in America conta ancora qualcosa.

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L’OBAMA «LIBERATO»

Il nuovo Congresso

Il 4 novembre scorso le elezioni americane di midterm hanno regalato al partito repubblicano una maggioranza di 54 seggi al Senato contro i 48 rimasti ai democratici e di 246 seggi alla Camera contro 188. Una situazione in cui la Casa Bianca e il nuovo Congresso - che si insedierà martedì prossimo - sono destinati a imparare a collaborare.

Un aiuto dalla crescita

Visto come un’«anatra zoppa» prima del tempo, in balìa dei repubblicani per quello che resta del suo secondo mandato, Obama ha avuto un grande aiuto soprattutto dall’economia, che nel terzo trimestre del 2014 ha messo a segno un incredibile +5%, tanto che dalla Federal Reserve si attende ormai tra breve una svolta, il rialzo dei tassi di interesse.

L’agenda

Ilpresidente ha detto di sentirsi ora «più libero»: «Il nostro lavoro ha portato i frutti che aspettavamo», ha spiegato. Superate le sfide più difficili, Obama può ora dedicarsi ad altre sfide come l’immigrazione e la normalizzazione dei rapporti con Cuba. Secondo alcune fonti dell’amministrazione, nei piani ci sarebbe anche un rilancio dei rapporti con Mosca.