Italia

Il virus che infetta tutto, l'obbligo di cambiare

  • Abbonati
  • Accedi
POLITICA E DELEGA FISCALE

Il virus che infetta tutto, l'obbligo di cambiare

C'è una ragione sopra tutte per non trasformare la sciagurata “norma del 3%” nell'alibi per lasciare a metà o, peggio, per abbandonare al suo destino l'attuazione della legge delega per il riordino del sistema fiscale.

La ragione è che mai come in questa fase, segnata dal perdurare di una recessione di cui non si vede la fine, le imprese e i professionisti hanno bisogno di un sistema tributario improntato all'equità, alla certezza del diritto, alla prevedibilità della giustizia tributaria, alla congruità e alla proporzionalità delle sanzioni amministrative e penali, alla trasparenza dell'azione amministrativa. La delega, lo si è detto molte volte, non è e non sarà il toccasana per tutte le storture del nostro fisco, non certo per quella principale, ovvero una pressione che arriva a oltrepassare il 65% degli utili. Ma la delega fiscale resta comunque un'occasione unica per cominciare a cambiare qualcosa. E, allora, sarebbe davvero un errore imperdonabile consentire al virus dell'autodistruzione, che tutto infetta e tutto blocca, di interrompere un percorso che tra fatiche, ritardi e (purtroppo) brutti incidenti resta fondamentale portare presto a compimento.
Quel che è accaduto il pomeriggio della vigilia di Natale a Palazzo Chigi, quando una “manina” ignota (ma non ignara) ha inserito nel testo dello schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto e sul riordino dei reati tributari un nuovo articolo avvelenato che escluderebbe la punibilità quando l'importo dell'evasione è inferiore al 3% dell'imponibile resta un episodio di estrema gravità sul quale si dovrà prima o poi fare chiarezza, a prescindere dal fatto che a beneficiare della norma sarebbe (forse) stato anche Silvio Berlusconi.

Come ha scritto domenica scorsa il direttore Roberto Napoletano sul sito del Sole 24 Ore: «Non sappiamo a chi volesse fare un regalo chi ha ideato e scritto la norma di certo non si è fatto un regalo alla certezza del diritto, alla trasparenza e, in definitiva, a quel bene supremo che è l'interesse generale del Paese, che si costruisce e difende facendo pagare le tasse giuste e quindi riducendo l'abnorme carico di prelievi italiani, colpendo con certezza chi evade, evitando anche la sola sensazione che i furbi (vecchi e nuovi, conosciuti e meno) la facciano sempre franca».
Certezza del diritto e congruità delle sanzioni, si diceva. E proprio qui, forse, sta il punto. Il riordino del sistema dei reati tributari previsto dalla legge delega e delineato nel decreto della vigilia di Natale è fondamentale ma, di certo, non deve fare sconti a nessuno. La “norma del 3%” che il governo ora intende bloccare avrebbe creato situazioni complicate e non accettabili, con evasioni (anche fraudolente) di decine e decine di milioni non perseguibili penalmente. Giusto l'allarme, giusto l'impegno a cambiare.

Ma si faccia attenzione a non cedere agli impulsi di segno opposto. Molti ricordano la lunga stagione della legge “manette agli evasori” del 1982. Anni dopo, nel 2000, fu proprio la riforma voluta dall'allora ministro Vincenzo Visco a mettere un freno a quella specie di caccia alle streghe dei reati tributari che in quasi 20 anni non aveva affatto sconfitto l'evasione (anzi!), ma aveva solo generato centinaia di migliaia di procedimenti penali, in gran parte caduti in prescrizione senza produrre effetti. Anche in periodi più recenti, dopo la riduzione delle soglie di punibilità, si è avuta la conferma che l'utilizzo delle sanzioni penali nella lotta all'evasione non sempre ha dato i risultati attesi.
La legge delega ora si pone l'obiettivo di limitare le conseguenze penali ai comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa. Chi non presenta la dichiarazione, chi falsifica i documenti contabili, chi emette o utilizza fatture false, insomma, chi si rende responsabile di condotte truffaldine per non pagare le tasse deve giustamente essere perseguito, deve pagare gli importi evasi e deve essere condannato con il massimo rigore. Avendo sempre presente il fatto che deve esistere una relazione tra il peso della sanzione e la gravità dei fatti. E senza scordare che più in generale, in ambito penale, è in atto una tendenza tesa a escludere la punibilità delle condotte di lieve entità (lo prevede un Dlgs approvato dal governo all'inizio di dicembre).

Ma che succede quando l'accusa di evasione è frutto di un'interpretazione normativa? Quando l'accertamento si basa su una diversa valutazione circa la deducibilità o meno di un determinato componente, oppure quando in discussione sono l'annualità di imputazione di costi o ricavi, specie con un fisco cavilloso come il nostro? La direzione della riforma è chiara e va difesa, evitando gli eccessi di colpire comportamenti che nulla hanno a che vedere con l'evasione. Senza naturalmente immaginare di creare scudi e vie di fuga per i contribuenti che approfittano della complessità del sistema per ritagliarsi comode scappatoie. Ma quando l'incertezza è oggettiva, quando la contestazione potrebbe non avere il rigore richiesto dalle disposizioni penali non va dimenticato che resta comunque il castigo della sanzione tributaria, che in certi situazioni può arrivare fino al 200% dell'imposta contestata (il problema semmai è rendere effettiva l'applicazione delle sanzioni amministrative, visti gli ingentissimi importi di imposte e sanzoni che il fisco non riesce a incassare).
Bisogna prendere atto che lo schema di decreto legislativo del governo, pur tra difetti, errori e norme da correggere, si muove in questa direzione. Sarebbe sbagliato perdere l'occasione per cambiare registro.

© Riproduzione riservata