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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2015 alle ore 15:15.
L'ultima modifica è del 07 gennaio 2015 alle ore 15:28.

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«A Roma operava da anni una organizzazione strutturale di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti con attività che si estendevano in diversi campi: propriamente criminale, economico e della pubblica amministrazione». Ecco che cosa è, per i giudici del tribunale del riesame di Roma, quella che la procura ha chiamato “Mafia Capitale”, e cioè «una ramificata organizzazione della quale Massimo Carminati (ex estremista nero, ndr) è il capo e il riconosciuto punto di riferimento degli altri sodali». Un'organizzazione che operava nella Capitale da anni nei settori criminale, economico e della pubblica amministrazione, che si espande in «seguito alla nomina di Alemanno quale sindaco di Roma».

Il collegio ha motivato in 87 pagine il rigetto delle richieste di revoca delle ordinanze fatte da Massimo Carminati, capo dell'organizzazione, Riccardo Brugia, braccio destro del “Guercio”, Emilio Gammuto, Fabrizio Franco Testa, Roberto Lacopo, tutti detenuti per associazione per delinquere di stampo mafioso. Si tratta del primo gruppo, dei 39 arrestati, ad essersi rivolti al tribunale del Riesame. Quest'ultimo ha spiegato perché debba essere condivisa l'aggravante mafiosa, considerata la natura della struttura guidata da Carminati e la diversità di questa rispetto ad altre organizzazioni mafiose.

Riesame: sodalizio sfrutta fama criminale
«Non è indispensabile che i membri del sodalizio facciano uso concreto del potere intimidatorio di cui dispongono, ma occorre che intendano sfruttare la 'fama criminale' acquisita in precedenza». Anche con queste parole il tribunale del Riesame di Roma legittima l'aggravante mafiosa contestata agli indagati di Mafia Capitale. Nelle 87 pagine di motivazioni, il collegio, presieduto da Bruno Azzolini, fa proprio il concetto di associazione di tipo mafioso (che si avvale della forza intimidatrice del vincolo associativo e della conseguente condizioni di assoggettamento e di omertà), così come configurato dal gip Flavia Costantini secondo le indicazioni della procura.

Un'associazione «in cui tutti i singoli sono perfettamente consapevoli di far parte di un sodalizio durevole e di operare per l'attuazione del programma criminoso comune». Spiegano i giudici del riesame: Carminati «gestisce i vari settori operativi dell'organizzazione così da una parte controlla il settore propriamente criminale avvalendosi della collaborazione di Roberto Lacopo, formale gestore di un distributore di benzina a Corso Francia, di Riccardo Brugia e Matteo Calvio, persone aduse alla violenza».

Gli imprenditori collusi
Sul versante economico, l'ex esponente dei Nar «si avvale della partecipazione criminale di quelli che sono stati definiti imprenditori collusi e cioè di quegli operatori economici che, perfettamente consapevoli della natura dell'organizzazione che fa capo a Carminati e della sua forza di intimidazione e penetrazione anche negli ambienti politico-amministrativi, decidono scientemente di entrare a far parte del suo gruppo per ottenere vantaggi economici».

I rapporti con la Pa
Ma «è nel settore della pubblica amministrazione - si legge nel provvedimento del riesame - che l'organizzazione criminale si manifesta al proprio meglio. In questo campo l'organizzazione opera attraverso le cooperative che fanno capo a Salvatore Buzzi e che detengono una posizione assolutamente dominante negli appalti, in numerosi settori dell'attività del Comune di Roma e di altri minori enti pubblici territoriali, che ottengono attraverso l'opera di corruzione dei pubblici funzionari e/o attraverso la loro intimidazione». In questo settore Carminati e Buzzi «lavorano in continuo contatto fra loro e con una sinergia di intenti efficiente e funzionale che porta a risultati ottimi per l'organizzazione in termini di commesse e guadagni».


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