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Banche, salgono le soglie di capitale

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Banche, salgono le soglie di capitale

  • –Claudio Gatti

Mentre si aspettano con ansia le mosse espansive di Mario Draghi, in Italia è arrivata una nuova doccia fredda per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza europea che potrebbe, nell'immediato, avere effetti opposti.

Claudio Gatti pagina 27

Mentre si aspettano con ansia le mosse espansionistiche di Mario Draghi, in Italia è arrivata una nuova doccia fredda per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza europea che potrebbe, nell’immediato, avere effetti opposti. Il Sole 24 Ore ha saputo che da Francoforte è giunta a tutti una lettera in inglese. L’oggetto è Draft Capital Decision. Il messaggio che «sulla base della situazione finanziaria e dei profili di rischio, e prendendo in considerazione i risultati della Supervisory Review e del processo valutativo», la Bce ha deciso di attribuire a ogni singola banca un suo coefficiente patrimoniale minimo da rispettare. E per quasi tutte questo minimo è di gran lunga più alto di quello previsto dagli accordi “Basilea 3”, i quali stabiliscono un floor, o soglia minima, del 7%, indistintamente per tutte le banche.

Queste comunicazioni sono arrivate con una rigida consegna del silenzio. E contattata da Il Sole 24 Ore per conferma, la Bce risposto con un «no comment». Ma il nostro giornale non solo ha ottenuto la copia di una di queste lettere, tutte firmate da Danièle Nouy, presidente del Supervisory Council della Bce, ma ha saputo che, in media, per le 15 banche italiane vigilate dalla Bce, la soglia è salita di oltre tre punti di percentuale. Quell’aumento, di circa il 50%, ha portato il nuovo floor medio al 10,5 per cento.

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Con punte drammatiche come quella del Monte dei Paschi di Siena, il cui nuovo floor è del 14 per cento.

Perquello che riguarda le popolari, invece, la relativamente virtuosa Ubi ha visto la propria soglia minima passare al 9,6%, per la Popolare di Vicenza l’asticella è stata alzata oltre l’11,6 .

A queste banche il motivo dell’irrigidimento è spiegato senza mezze parole: «le strategie e i meccanismi adottati dall'istituto e i suoi fondi non garantiscono una copertura completa dei rischi».

Come specifica l’oggetto della lettera, per ora si tratta solo di un draft, cioè di una bozza. Le banche hanno tempo fino a venerdì prossimo, 16 gennaio, per presentare le proprie controdeduzioni e cercare di convincere Francoforte a ridurre il proprio floor, ma se non vi riusciranno, da febbraio o marzo dovranno applicare nuovi requisiti di capitalizzazione significativamente più severi.

Il Sole 24 Ore ha chiesto un commento a Banca d’Italia che però ci ha detto di «non avere osservazioni».

L'obiettivo di Francoforte è comunque chiaro: sulla base delle specifiche condizioni emerse con gli stress test e l’Asset quality review autunnali vuole introdurre requisiti di patrimonializzazione che riducano il rischio di nuovi dissesti bancari dovuti a un eccesso di leva e/o insufficienza di capitale. Più che legittimo. Ma secondo addetti ai lavori consultati da Il Sole 24 Ore il risultato pratico immediato dell'aumento dei coefficienti sarà quello di incentivare le banche a comprare titoli di Stato anziché erogare credito. In risposta a un improvviso aumento dei coefficienti patrimoniali minimi, le banche si troveranno infatti di fronte a due opzione: aumentare il proprio capitale per poter mantenere gli stessi margini di oppure assumere posizioni difensive e diminuire il proprio rischio. Poiché gli aumenti di capitale in questo momento sono fuori della portata di tutti – e a maggior ragione di chi è in difficoltà – alle banche non resterà che la seconda strada.

Occorre dire che già nel giugno del 2011, per gli stessi motivi della Bce, l’European Banking Authority, l’altra autorità di vigilanza bancaria continentale, presieduta dall’italiano Andrea Erria, aveva comunicato alle banche la necessità di alzare l’asticella dal 7% di Basilea 3 al 9 per cento. Ma era stata una misura temporanea, poi rescissa nel 2013.

Così come è bene precisare che le banche italiane si trovano tutte sopra quella soglia. Ma come ci spiega un banchiere, che chiede l’anonimato, «un conto è operare con un abbondante margine sopra la soglia minima, un altro conto avere un margine risicato. In questo secondo caso si tende a essere molto più prudenti».

L’impatto sarebbe su due fronti: quello delle future acquisizioni, perché la restrizione del margine sopra la soglia, mettendo le ganasce su capitali liberi, limita chiaramente la potenza di fuoco di chi vuole crescere. L’altro effetto sarebbe quello di un’inibizione dell’attività creditizia.

«Le banche sono come le aziende», aggiunge il banchiere. «Fanno quello che più conviene. E l’innalzamento delle soglie favorisce l’investimento in titoli di Stato, che di fatto diventa adesso ancora più competitivo dell’impiego di credito. Sul titolo di Stato non sono infatti richiesti accantonamenti, né ci sono coefficienti di capitale. Come si dice in gergo tecnico, hanno ponderazione zero. E poiché per riattivare il ciclo economico serve invece la ripresa del credito, questa misura potrebbe avere un impatto pro-ciclico, alimentando cioè l’attuale ciclo di stretta creditizia».

Il Sole 24 Ore ha chiesto un commento ad Andrea Resti, professore della Bocconi esperto di regolamentazione bancaria e di rischi finanziari. «Premesso che io non credo alla supply side economics applicata al credito, e che secondo me il calo degli impieghi in Italia è soprattutto un problema di domanda, da studioso noto che se si alzano i requisiti patrimoniali, magari in modo perfettamente giustificato, si riducono automaticamente gli spazi per una futura ripresa del credito», dice Resti.

C’è inoltre un altro aspetto di tutt’altra natura. Le regole di trasparenza prevedono che, quando ha notizie che possano incidere sul valore del proprio titolo, il management di una banca ha l’obbligo di comunicarle al mercato e alle autorità di vigilanza. In questo caso a Il Sole 24 Ore risulta che nessuno abbia ancora comunicato nulla.

«In linea generale, ogni informazione riservata e price sensitive, cioè che ragionevolmente può muovere in modo sensibile il prezzo delle azioni o delle obbligazioni quotate emesse dalle banche, deve essere comunicata al pubblico», commenta Luca Enriques, ex commissario Consob oggi professore di Corporate Law a Oxford. Che aggiunge: «Ma in un caso come questo gli emittenti potrebbero sostenere che i procedimenti sono ancora in corso, che i requisiti di capitale non sono stati ancora fissati in modo definitivo, e che quindi la notizia non è sufficientemente precisa per essere comunicata».

Il messaggio sui nuovi e più alti coefficienti patrimoniali minimi si va inoltre a sommare a una comunicazione fatta nel novembre scorso dall’Eba in cui l’Authority informava le banche della propria intenzione di alzare un’altra soglia, quella della cosiddetta materialità negli sconfinamenti (che in pratica è il minimo oltre il quale lo sconfinamento continuativo trasforma il credito in non-performing ovvero in stato di default).

Nell’ambito di un processo di omogeneizzazione di regole e comportamenti, dopo aver portato a 90 per tutti il termine massimo di giorni consecutivi oltre i quali uno finanziamento deve essere classificato come non-performing (fino all’anno scorso nel Sud Europa era di 180), l’autorità europea ha fatto sapere di star valutando criteri che uniformino il calcolo della soglia di materialità, finora diversi da Paese a Paese.

Oggi in Italia questa soglia è pari al 5% del totale delle linee di credito del cliente. L’Eba sta invece valutando l’introduzione di una soglia con due componenti: un minimo relativo pari al 2 anziché il 5% delle linee di credito e un minimo assoluto, che per i clienti retail sarà di 500 euro e per corporate di 600. Nel “documento di consultazione” inviato alle banche, l’Eba chiede alle banche di esprimere la propria opinione su questi due requisiti e chiede se si ritiene preferibile che siano alternativi ovvero debbano essere entrambi valicati perché ci sia uno sforamento della soglia.

C’è da aspettarsi che le banche risponderanno che il secondo scenario sia preferibile. Ma anche solo l’abbassamento dal 5 al 2%, in Italia potrebbe avere un impatto significativo, mentre in Paesi come la Germania non provoca praticamente alcuno scossone. Il motivo è semplice: in Germania debitori e creditori sono più rigorosi, e un credito scaduto da 90 giorni si trasforma quasi automaticamente in sofferenza. In Italia, dove c’è da sempre una cultura diffusa di flessibilità interpretativa e adesso si sta vivendo un momento di fortissimo aggravamento del problema degli incassi (e lo Stato è il primo inadempiente!), è molto più normale sforare sulle scadenze. Ma nella maggior carte dei casi lo scaduto di 90 giorni viene rimborsato e la situazione torna poi normale.

In pratica i nuovi requisiti suggeriti dall’Eba non avrebbero alcun impatto nei paesi nordici, mentre penalizzerebbero l'“insubordinazione” di Paesi come l’Italia.

«Qui occorre farsi una domanda: vogliamo una vigilanza europea integrata? Io la vorrei. Se è così, evidentemente si tratta di unificare prassi e regole. Qualche volta toccherà a noi farlo. E nel momento gli altri Paesi hanno soglie anche assolute di entità modesta, non è pensabile che l’Italia possa continuare ad andare per conto suo. Perché altrimenti ognuno si riserverebbe di fare lo stesso», commenta il professor Resti. «Non si tratta dunque a mio giudizio di fare resistenze o battaglie contro l’uniformità delle regole, perché dalle regole comuni alla fine guadagnerebbero tutti, Italia inclusa. Piuttosto si tratta di accettare il principio senza procedere in modo draconiano, bensì stabilendo una scaletta di tempi che tenga conto dell’attuale contesto economico difficile».

Per capire il potenziale impatto di questo possibile cambiamento, le banche stanno nel frattempo facendo simulazioni a ritroso che permettano di calcolare l'incidenza delle nuove soglie.

A Il Sole 24 Ore risulta che dai calcoli finora fatti sia emerso che se nel 2014 fossero stati applicati i nuovi requisiti, anche se applicato solo quello del 2%, diverse centinaia di migliaia di clienti sarebbero stati qualificati come in default. Ma il dato ancora più interessante è che oltre la metà di questi hanno poi risolto totalmente la propria situazione di sconfinamento.

In un periodo congiunturale difficile quale quello attuale, secondo la nostra fonte bancaria il nuovo criterio potrebbe penalizzare proprio la categoria di imprese che occorrerebbe invece sostenere, cioè quelle sostanzialmente solide ma oggi in bilico tra la sopravvivenza e default. Basti pensare infatti che dalle rilevazioni fatte nel terzo trimestre del 2014 da Crif, società di fornitura di informazioni creditizie, risulta che in Italia solo il 37,5% delle imprese paga alla scadenza e i ritardi nei pagamenti commerciali sono aumentati del 200% rispetto al 2010.

A questo il professor Resti risponde dicendo che «è sbagliato valutare una regola solo sulla base di comportamenti passati perché le regole cambiano i comportamenti». E poiché il consenso in Europa è che i comportamenti vadano uniformati in senso migliorativo, come nel caso della riduzione dei termini da 180 a 90 giorni si tratta di definire le opportune tappe di avvicinamento all’obiettivo.

Nell’immediato, però, i nuovi coefficienti della Bce e le misure prese in considerazione dall’Eba potrebbero minare gli effetti positivi dell’attesa l’iniezione di liquidità data dal quantitative easing che ci si attende ora da Mario Draghi.

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