È tempo di tornare alla «normalità costituzionale, ovvero alla regolarità dei tempi di vita delle istituzioni, compresa la Presidenza della Repubblica», chiudendo «la parentesi di un’eccezionalità costituzionale». È tutto racchiuso qui, in questa frase pronunciata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio di fine anno agli italiani, il senso politico, al di là di quello personale, della scelta di dimettersi.
D’altronde se la sua ri-elezione serviva per «offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi», facendo in modo, grazie a questa eccezionalità, che nessuno si sottraesse «in nessun campo, al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana», si può dire che oggi molte di quelle ragioni hanno iniziato a positivamente incanalarsi, a partire proprio da quelle riforme costituzionali ed elettorali delle quali «c'è bisogno improrogabile per sopravvivere e (far) progredire la democrazia e la società italiana».
Allora le dimissioni, primo atto personalissimo della procedura costituzionale, hanno una duplice funzione: da un lato, servono a dare un nuovo ritmo alle nostre istituzioni, perché facendo girare, come un rotore, la meccanica politico-costituzionale, esse danno loro forza e continuità. Dall’altro, rappresentano un modo per far sì che i partiti politici ritrovino loro stessi, dandosi credibilità oltre che, naturalmente, offrendo solidità alle stesse istituzioni.
D’altronde, in questi anni, si è visto il mantello dell’istituzione presidenziale coprire, come un novello San Martino, l’intero sistema politico-istituzionale -facendo sì che il Presidente interpretasse fino in fondo il ruolo di «motore di riserva» di cui la dottrina costituzionalistica aveva a suo tempo parlato-, soprattutto perché il sistema politico-partitico italiano ha visto mancare per oltre vent’anni, nei comportamenti politici prima che nelle regole giuridiche, l’appuntamento verso una moderna democrazia dell’alternanza realizzando, in un’Europa più unita, la transizione istituzionale aperta nei referendum dei primi anni novanta.
Questa incapacità grave di darsi regole nuove, assommata tanto al profondo mutamento della rappresentanza sociale e politica con la fine del tempo delle ideologie quanto alle due crisi economiche mondiali, quella di tipo finanziario del 2007-2008 e quella successiva del 2010-2011 intorno ai c.d. debiti sovrani e alle finanze pubbliche (a partire, innanzitutto, dai Paesi dell'Eurozona), ha ulteriormente corroso fiducia e speranza nella nostra società, alimentando un crescente astensionismo, forti fenomeni di populismo e la ripresa rilevante della corruzione a tutti i livelli. Così, proprio negli anni di Napolitano presidente, la sfiducia che nasceva dall’inconcludenza politica e quella che nasceva dalla depressione economica si sono reciprocamente – e drammaticamente - spalleggiate, favorendo ulteriormente rabbia e malcontento sociale pure verso le stesse istituzioni repubblicane.
Inevitabilmente, allora, pur nel rigoroso rispetto dei confini della Costituzione, al calare della forza e della capacità dei partiti, si è visto crescere l’influenza della Presidenza della Repubblica che, tesa nelle sue scelte, in un continuo sprone per far sì che la politica ritrovasse se stessa, intanto garantiva pure, in virtù dei poteri, una copertura tale da rassicurare tutti i partners del nostro Paese nei momenti più complessi d’instabilità che ci hanno caratterizzato.
Ecco cosa rappresentano, dunque, le dimissioni del Presidente Napolitano e i successivi passaggi costituzionalmente previsti: servono maieuticamente a far sì che i partiti, nel tornare a praticare la naturale meccanica della democrazia, riscoprano loro stessi; assumendosi stavolta le responsabilità che costituzionalmente loro competono, nel solco della credibilità politica e del riformismo fattivo definitivamente indicato loro da Giorgio Napolitano.
.@ClementiF
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