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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2015 alle ore 15:27.
L'ultima modifica è del 15 gennaio 2015 alle ore 16:55.

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Fotogramma tratto da un video divulgato dal gruppo estremista islamico nigeriano Boko Haram (Afp)Fotogramma tratto da un video divulgato dal gruppo estremista islamico nigeriano Boko Haram (Afp)

L’uso dei kamikaze
Il primo grande attacco nello Stato di Yobe avvenne nel gennaio 2004, e fu un successo. La polizia nigeriana fu colta di sorpresa. Nel 2006 il gruppo intensifica la sua azione di guerriglia contro le forze nigeriane. La svolta avviene tuttavia nel 2009. Perché è da quest'anno che porta a termine una serie di attacchi estremamente violenti anche contro la popolazione civile (800 vittime in cinque giorni nelle città settentrionali di Bauchi e Maiduguri). E come ogni gruppo jihadista che si rispetta, l'anno successivo, il 26 agosto Boko Haram ricorre all'arma per eccellenza usata dal network jihadista globale: i kamikaze. Un uomo bomba si fa esplodere davanti all'edificio dell'Onu ad Abuja, uccidendo 23 persone. Fu il primo attentato kamikaze in Nigeria. Il primo di una lunga serie. Ricordo tra i tanti altri anche l'attentato kamikaze avvenuto lo scorso novembre contro una scuola nello Stato di Yobe, costato al vita a quasi 50 studenti. Infine il ricorso anche alle bambine bomba, avvolte dai loro nikaq, per seminare il terrore e penetrare con grande facilità le maglie del già precario sistema di sicurezza nigeriano.

Possibile connivenze con apparati deviati dello Stato
Ci si domanda per quale ragione il Governo della prima potenza economica dell'Africa sia incapace di sconfiggere, anche solo di ridimensionare, questo insidioso nemico. Probabilmente perché le ragioni sono più di una. La corruzione endemica, a tutti i livelli della società, ha certamente creato delle zone d'ombra. In questo contesto si è creato un terreno fertile per il fondamentalismo islamico. Ma se con il Mend è stato possibile arrivare a una tregua, con il cieco fanatismo di Boko Haram raggiungere un accordo (come quello annunciato in autunno e poi smentito) appare molto più difficile.

Viene da chiedersi chi li aiuta a ricostruire il loro arsenale. La portata e l'estensione dell’offensiva lasciano presupporre che gli uomini di Boko Haram non agiscano completamente da soli. L'entourage del presidente nigeriano, Jonathan Goodluck, non ha dubbi: esistono connivenze pericolose con apparati deviati dello Stato. Prove, finora, non ce ne sono. Ma nel 2012 la fuga di Kaburu Sokoto, il principale sospettato dell'attentato di Natale contro una chiesa cristiana ad Abuja, e definito uno dei ricercati più pericolosi per la nazione (poi ricatturato), è un episodio che ha sollevato molti sospetti. Qualcuno deve averlo agevolato nella fuga.

I contatti con al-Qaeda e la nascita del califfato
È altrettanto vero che Boko Haram da tempo è in contatto con i gruppi jihadisti del Sahel, dove opera Al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e del Mali, soprattutto Mujao. E questo è un potenziale canale di approvvigionamento di armi. I clamorosi sequestri di massa, come il rapimento di 276 giovani studentesse avvenuto in aprile, potrebbe rappresentare un altro canale di finanziamento.

Ora Abuja fa appello alla Comunità internazionale affinché la aiuti nella lotta contro il terrore dei Talebani d'Africa. Si tratta di una minaccia non più solo nazionale. E come tale va combattuta. Da tutti. Aveva avvertito già tre anni fa il presidente Goodluck. Non poteva certo immaginare che il feroce leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, arrivasse addirittura a proclamare la creazione un “califfato islamico”, più piccolo ma altrettanto brutale e oscurantista di quello in Siria e in Iraq, nella città di Gwoza, nel nord-est della Nigeria. Eppure lo scorso agosto è avvenuto anche questo.

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