«L’Italia rischia l’incertezza dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano», scriveva ieri il Financial Times, quotidiano di riferimento dei mercati internazionali. Un titolo poco originale ma che segnala l’attenzione con la quale il mondo finanziario comincia a seguire il cammino verso le elezioni per il Quirinale.
Senza addentrarsi nei labirinti delle correnti dei partiti, dei franchi tiratori e delle trappole che potrebbero scattare contro Renzi, quello che ambienti internazionali danno quasi per scontato è che l’Italia darà una nuova prova di instabilità. Che, insomma, la cattiva reputazione che ci accompagna verrà confermata anche nel prossimo passaggio, il più alto della vita istituzionale e sulla carica che più di tutte è diventata un punto di riferimento per le cancellerie e perfino per il mondo finanziario.
Quirinale è ormai sinonimo di stabilità, cioè l’esatto contrario di quello che invece esprimono la politica italiana e spesso anche i governi. E l’evento è tanto più sotto i riflettori, ora, perché si apre uno spazio nuovo in Europa, uno spazio di opportunità soprattutto per l’Italia che rischia però di essere bruciato da una possibile serie di votazioni estenuanti sul nuovo capo dello Stato.
Due giorni fa si è aperta una breccia nel muro dell’austerità e del rispetto rigido delle regole. Non è stato toccato il feticcio del 3% nel rapporto tra deficit e Pil ma è stata sbloccata la strada per la flessibilità, quella che fa entrare nella valutazione dei conti pubblici anche il programma delle riforme o la considerazione del ciclo economico. Senza dare - o negare - meriti a Renzi e alla presidenza italiana nel semestre Ue, la nuova congiuntura europea ha indotto Bruxelles a una traduzione del patto di stabilità e crescita più vantaggiosa anche per Roma. Al punto che il ministro Padoan dice di sentirsi più fiducioso sul fatto che a marzo non ci verrà chiesta una manovra correttiva dell’ordine di 4 o 5 miliardi come invece sembrava probabile a dicembre, quando l’Europa promosse i conti italiani in via provvisoria e non definitiva. Al Governo dissero che la linea sulla finanza pubblica sarebbe stata tirata a marzo, con le previsioni economiche di primavera della Commissione Ue. Dopo il passaggio sul Colle, appunto.
Ora il clima e anche i testi europei offrono più ossigeno all’economia e maggiori margini di manovra al Governo che potrà anche scomputare dal calcolo del deficit gli investimenti destinati al piano Juncker. Insomma, si mette bene o almeno meglio delle previsioni che si facevano fino a qualche settimana fa. Oggi il vicepresidente della Commissione Ue per gli investimenti e la crescita, Jyrki Katainen, sarà in Parlamento e si capirà meglio se l’attitudine dei “falchi” resta prudente in attesa della prova italiana sul Quirinale. E tra una settimana esatta Angela Merkel e Matteo Renzi si vedranno a Firenze per un bilaterale: piatto forte del colloquio sarà proprio il passaggio del Colle. Facile immaginare che la Merkel gli chiederà delle previsioni sulle prossime votazioni, facile immaginare che Renzi darà le stesse rassicurazioni che ha dato ieri, cioè che entro il mese avremo un nuovo presidente.
Il faccia a faccia tra il premier e la Cancelliera ci sarà lo stesso giorno in cui Mario Draghi riunirà la Bce e assumerà le prime scelte sul quantitative easing. Spiragli che si aprono, quindi, un po’ a Bruxelles, un po’ a Francoforte. Subito dopo entrerà in scena Roma con l’elezione del capo dello Stato. E il test oltre che politico avrà anche riflessi finanziari. E potrebbe rafforzare o invece bruciare quei margini in più che la congiuntura europea sta offrendo a Paesi in difficoltà come l’Italia.