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Dossier Scelta obbligata la trattativa con i bersaniani

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    Scelta obbligata la trattativa con i bersaniani

    Quattrocentoquarantanove “grandi elettori” del Pd, di cui 415 parlamentari e 34 rappresentanti delle Regioni. Gira che ti rigira non si può che partire da questo enorme blocco per cominciare a ragionare di successione al Quirinale. Un blocco tutt’altro che compatto, naturalmente. I “grandi elettori” sicuri - di fede renziana primigenia o acquisita in corso d’opera - sono 220, forse 230. A questi va ragionevolmente aggiunta una cinquantina di “giovani turchi” (i referenti sono il presidente del partito Matteo Orfini e il ministro della Giustizia Andrea Orlando) entrati per lo più alla Camera con le parlamentarie decise dall’allora segretario Pier Luigi Bersani. Il pallottoliere in mano ai renziani di stretta fiducia, in primis il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti e il vicesegretario del partito Lorenzo Guerini, è costantemente aggiornato dopo incontri personali o cene di gruppo come quella di martedì sera che ha visto Guerini riunire più di cinquanta amici cattolici. Eppure da lì non si esce: 220-230 voti sicuri. Con i “turchi” si arriva a 270-280. Non di più.

    Il resto è fuori dal diretto controllo del premier e segretario del Pd. Come i 120 parlamentari che fanno riferimento ad Area riformista, la corrente che riunisce bersaniani e non renziani di varia provenienza e che fa capo al giovane capogruppo a Montecitorio Roberto Speranza. Al suo interno convivono la sinistra dialogante di Guglielmo Epifani e Cesare Damiano e quella più radicale alla Alfredo D’Attorre. Difficile tracciare un confine netto.

    C’è poi tutta un’area nuova di sinistra che si è coagulata nel corso della discussione sul Jobs act e durante le manifestazioni di piazza della Cgil contro il governo: i renziani doc la considerano ingestibile e pressoché perduta ai fini dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Si tratta di una cinquantina di parlamentari (secondo alcuni possono arrivare fino a 60) che raccolgono personalità politiche dalle diverse provenienze come Francesco Boccia, Stefano Fassina, Rosy Bindi e gli stessi oppositori di Renzi alle primarie del Pd, Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Sono quelli che non hanno votato alla Camera la delega sul Jobs act né in Senato (da Corradino Mineo a Vannino Chiti) la riforma costituzionale. Qui dentro, tra i 50-60 “ingestibili”, molti mettono anche la ventina di teste che ancora riesce a muovere quello che è diventato il più grande oppositore di Renzi, ossia Massimo D’Alema. Eppure bisogna fare attenzione, si sottolinea dalla minoranza “istituzionale” di Areadem: nelle riunioni che si stanno susseguendo in queste ultime ore su Italicum e riforme costituzionali i parlamentari di Area riformista e il gruppo composito Civati-Boccia-Fassina-Bindi sono tutti insieme. C’è insomma il tentativo di unire in un’unica voce tutto il fronte degli antirenziani o almeno dei non renziani.

    Più di un terzo dei grandi elettori del Pd, insomma, è fuori diretto controllo del premier. E quando si parla dei 220-230 “sicuri” va comunque considerata la diversa provenienza, che potrebbe avere una sua sfumatura a seconda di quale sarà alla fine il candidato prescelto: della maggioranza solo una sessantina (50 alla Camera e 10 al Senato) sono renziani della primissima ora, circa ottanta (novanta se si considerano anche i delegati regionali) sono riconducibili alla vecchia Area dem (la corrente di Dario Franceschini e Piero Fassino confluita poi nella maggioranza dopo le primarie vinte da Renzi), il resto sono acquisizioni anche di rilievo ma in corso d’opera. Quanto a una possibile area cattolica, alla Giuseppe Fioroni, le sfumature sono ancora più sottili. Molti di provenienza Area dem, come Marina Sereni, sono vicini a Fassino che cattolico non è. E i referenti della vecchia area cattolica, un tempo Franco Marini e lo stesso fondatore dell’Ulivo Romano Prodi, sono cambiati con l’avvento della nuova classe dirigente renziana: lo stesso premier è cattolico, come è cattolico Graziano Delrio, come sono cattolici molti dei giovani deputati renziani (fra tutti Matteo Richetti). E in questa nuova geografia l’appeal di un candidato cattolico al Colle piuttosto che uno laico non ha più il valore e che aveva in epoca pre-renziana.

    L’unica cosa sicura, pallottoliere alla mano, è che una buona riuscita dell’operazione Quirinale passa per Renzi dall’accordo con i 120 di Area riformista. E quindi con Bersani. Solo in questo modo il premier potrà compensare il gruppo di “ingestibili” del Pd con il centinaio di voti che gli assicura Silvio Berlusconi (su quasi 160 grandi elettori azzurri l’ex Cavaliere ne controlla sulla carta 120). Altrimenti il rischio caos diventa reale. Contatti con Bersani ci sono stati, e ce ne saranno. Bisogna vedere se il premier concederà al suo predecessore il riconoscimento politico di un faccia a faccia.