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Il premier: la proposta per il Colle spetta a noi Oggi vertice con il Cav

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Il premier: la proposta per il Colle spetta a noi Oggi vertice con il Cav

IL MESSAGGIO

L’incontro con Berlusconi di primo mattino è anche un avvertimento di Renzi alla minoranza Pd: con o senza di voi i numeri ci sono

ROMA

Matteo Renzi è fermo nel voler tenere la golden share della partita Quirinale. «È chiaro che il prossimo Capo dello Stato non lo decide uno solo, non parliamo del fantacalcio - dice in tv al termine di una giornata difficile in casa Pd sul fronte Italicum -. Ma toccherà a noi del Pd fare la proposta perché il Pd è il partito più forte». E nel fissare già per questa mattina a Palazzo Chigi il primo e più importante degli incontri annunciati per trovare la quadra sulla successione a Giorgio Napolitano - quello con Silvio Berlusconi, contraente del patto del Nazareno su Italicum e riforme in discussione in queste ore in contemporanea al Senato e alla Camera - vuole dare un messaggio in primis alla minoranza del suo partito: con o senza di voi, i numeri ci sono. La decisione della minoranza del Pd in Senato di andare comunque avanti nella battaglia contro i capilista bloccati previsti dall’Italicum fino all’estrema conseguenza di non votare la legge è vista in casa renziana come un vero e proprio «agguato politico» che prendendo a pretesto la legge elettorale e provando a saldare un asse con il M5s, la Lega e pezzi di Forza Italia, prova a minare la leadership renziana. Come che sia, nel pomeriggio salta agli occhi di Renzi che gli uffici del Senato hanno assegnato all’emendamento all’Italicum della minoranza Pd capeggiata dai bersaniani Miguel Gotor e Maurizio Migliavacca il numero “101”.

Un numero certo significativo nella storia dem, che sta lì a testimoniare la sconfitta di quasi due anni fa sul nome di Romano Prodi.

Sarà dunque la partita Quirinale al centro dell’ennesimo faccia a faccia tra Renzi e Berlusconi. Anche se dal governo non escludono la possibilità di qualche piccola modifica sulla questione dei capilista e delle preferenze, semmai Renzi riuscisse a convincere Berlusconi su questo punto finora da lui blindato, per togliere il terreno sotto i piedi alla fronda del Pd (ma anche a quella dei fittiani, che ieri si è vista all’opera alla Camera con 41 voti fuori linea in casa azzurra). Ma di fronte al caos Pd il premier ha più che mai la necessità di rinsaldare il patto con il leader di Forza Italia, patto da cui ormai è chiaro che dipende il destino della legislatura. E a preoccupare un poco Palazzo Chigi è anche la prova di ritrovata unità che hanno voluto dare lo stesso Berlusconi e il principale alleato del governo Renzi, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, incontrandosi a Milano (si veda l’articolo in pagina). I due ex alleati del centrodestra fanno pesare i loro 250 elettori chiedendo «un candidato presidente della Repubblica di area moderata e non del Pd». Si fa il nome del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, ma in molti interpretano la mossa Berlusconi-Alfano come il tentativo di far crescere la candidatura di Giuliano Amato, considerato da sempre di garanzia dall’Ex Cavaliere nonostante la sua vicinanza al Pd. Ed è proprio il nome di Amato, assieme a quello di Sergio Mattarella (entrambi sono ora giudici costituzionali, lontani dai riflettori della cronaca politica) ad essere in cima in queste ore nel “gioco” del totonomi. Lo stesso Renzi, parlando in serata a Rete 4, tratteggia un profilo che si adatta meglio ai due giudici costituzionali in corsa rispetto agli altri “papabili” ex segretari come Piero Fassino o Walter Veltroni (sull’ex sindaco di Roma, secondo alcuni, peserebbero gli ultimi sviluppi dell’inchiesta romana). «Serve un arbitro e non un giocatore - dice Renzi -. Una personalità che rappresenti tutti, che sia espressione dell’unità nazionale, e che quando lo scontro politico si fa più duro abbia la capacità di fare appunto da arbitro. Che per la nostra Costituzione il presidente della Repubblica non sta lì a tagliare nastri per 7 anni. Quando deve intervenire interviene...». Una personalità politica, dunque, che sappia intervenire quando c’è bisogno nel gioco politico, ma che non sia più un giocatore in campo. Il premier fa poi riferimento alla necessità di sanare le ferite di un Paese ferito per anni con le vittime del terrorismo. In ogni caso restano ancora in campo nomi come Prodi, Anna Finocchiaro, Graziano Delrio e Pier Carlo Padoan. Così come resta sul campo l’opzione di un “tecnico” autorevole come il governatore di Bankitalia Ignazio Visco.

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I NUMERI E LA CORSA PER IL COLLE

449

I «grandi elettori» del Pd

Sono i parlamentari (415) e i delegati regionali (34) del Pd che parteciperanno alla votazione per eleggere il prossimo capo dello Stato. I grandi elettori che fanno parte della maggioranza renziana sono 220-230. A questi vanno poi aggiunti una cinquantina di “giovani turchi”, vicini al presidente Pd Matteo Orfini. Della minoranza Pd fanno parte i grandi elettori vicini all’ex segretario Pier Luigi Bersani (120) e gli «antirenziani» (circa 50) come Pippo Civati e Gianni Cuperlo

673

Maggioranza ai primi tre voti

La Costituzione prevede, per le prime tre votazioni, una maggioranza di due terzi dei grandi elettori per eleggere il capo dello Stato: 673 voti su 1.009 (630 deputati 321 senatori e 58 delegati regionali) in questa tornata elettorale. Dalla quarta votazione in poi basta la maggioranza assoluta, vale a dire 505 voti. Al Partito democratico (se riesce a mantenersi compatto), quindi, per eleggere il presidente della Repubblica dalla quarta votazione mancano 56 grandi elettori