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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2015 alle ore 19:26.
L'ultima modifica è del 21 gennaio 2015 alle ore 22:29.

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Al termine di una giornata convulsa - in cui al Senato è passato l’emendamento Pd “canguro” alla legge elettorale con i voti determinanti di Forza Italia e Alfano e Berlusconi hanno sancito il fronte comune per “contare” nella partita del Quirinale - la minoranza dem (ma sarebbe meglio dire “le minoranze”) si è riunita per fare il punto nella sala Berlinguer della Camera. Con una sintesi comune: l’impressione di una «mutazione genetica» del partito, frutto avvelenato del patto del Nazareno.

I 140 dem, non tutti “dissidenti”
Alla convocazione hanno risposto in 140 tra deputati e senatori: con Pier Luigi Bersani c’erano tra gli altri Gianni Cuperlo, Pippo Civati, Rosy Bindi, Francesco Boccia, Cesare Damiano, Stefano Fassina, Miguel Gotor. Ma anche Francesco Russo, il capogruppo Pd a Montecitorio, Roberto Speranza, e persino il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti.
Un grande mix, tanto che qualcuno dei “pasdaran” ha storto il naso, sottolineando come ci fossero parecchi “controllori” per conto di Renzi. Certo è che nel calderone dei 140 le correnti sono più di una, e che tra i partecipanti c’era una quota di “indecisi”, non proprio veementi anti-renziani.

Bersani: se viene meno il rispetto è finita
Prima di entrare alla riunione, Bersani se l’è presa con il senatore Stefano Esposito che aveva attaccato la minoranza (salvo poi chiedere scusa): «Dare del parassita a Corsini, Gotor, Mucchetti, è pericoloso. È gente per bene che non chiede niente e va trattata con rispetto. Se viene meno il rispetto è finita». Quanto all’Italicum, l’ex segretario ha ribadito la sua tesi: «Renzi lo sa benissimo: c’era una possibile mediazione e loro non hanno voluto mediare. Ora spetta a lui dire se si può partire dall’unità del Pd».

Speranza: no ad accordi al ribasso sul Colle
Ma la partita principale è quella del Colle. Lasciando la riunione, Speranza (tra i più dialoganti) ha spiegato: «La domanda che viene da questa riunione è che si unisca il Pd. Sul presidente della Repubblica serve un profilo di grandissima autorevolezza, che sappia raccogliere l’eredità di Giorgio Napolitano. Su questo terreno sono inaccettabili mediazioni al ribasso». Lo stesso Speranza, però, ha detto di non ritenere, come invece fanno altri partecipanti alla riunione, che Renzi abbia già un accordo con Berlusconi sul nome del nuovo capo dello Stato: «Assolutamente no, mi fido del mio segretario di partito. E dico anche che la vicenda della legge elettorale va tenuta distinta da quella del Quirinale». A conti fatti, sarebbe di circa una trentina - tutti dell’area di Civati e Fassina - lo zoccolo duro di malpancisti che, a prescindere dal candidato al Colle, sarebbero pronti a votare contro. Per i bersaniani come Speranza, invece, la partita dipenderà dall’autorevolezza del candidato e dal coinvolgimento nelle scelte.

Boccia: stiamo andando verso il baratro
«È ormai chiaro anche ai bambini che il Pd è lacerato su una delle questioni più importanti del Paese ed è altrettanto chiaro che stiamo andando tutti verso il baratro», è la previsione di Boccia, che ha invitato a non sottovalutare «il ricompattamento del centrodestra» come esempio del fatto che «la democrazia è sintesi, non una prova di forza». «Sarà bene considerare - ha avvertito Boccia - che quando in due si corre verso il burrone, occorre fermarsi insieme, altrimenti si precipita sempre insieme. Mi auguro che il senso di responsabilità prevalga in tutti». Il presidente della commissione Bilancio della Camera si è aggiunto al coro di chi chiede unità sul capo dello Stato. «Anche se nel Pd - ha ammonito con stoccata finale - nulla sarà come prima se non si fa un confronto vero su dove stiamo portando il Paese. Poi di Italicum riparleremo alla Camera, quando capiremo meglio quali sono i termini dell’accordo politico sottoscritto con Verdini».

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