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il discorso sullo stato dell’unione

Obama: crisi vinta, l'America è libera di disegnare il suo futuro

(Afp)
(Afp)

NEW YORK - «Questa sera voltiamo pagina». Barack Obama ha invitato così gli Stati Uniti a credere sempre più in se stessi, nel proprio rilancio economico e politico dopo quindici anni segnati da terrorismo e guerre, da crisi e difficili riprese. «Questa sera, dopo un anno di trasformazione per l'America, l'economia sta crescendo e sta creando posti di lavoro al ritmo più elevato dal 1999». E «questa sera - ha continuato - la nostra missione di combattimento in Afghanistan è finita».

Obama ha presentato quella che il New York Times ha definito «un'agenda ambiziosa» fondata sulla rivendicazione dei successi sotto la sua presidenza. In una frase a effetto ha detto che «l'ombra della crisi è passata e lo stato dell'Unione è forte. Ci siamo risollevati dalla recessione piu' liberi di forgiare il nostro futuro di qualunque altra nazione al mondo». E ha poi lanciato un appello perché questo futuro appartenga a tutti con una “middle class economics”, una strategia per i ceti medi centrata su sgravi e crediti d'imposta, nuovi investimenti infrastrutturali e per l'istruzione, nuovi diritti per i lavoratori.

Ma il sesto Discorso sullo Stato dell'Unione e' stato inedito per altre ragioni: e' stato il primo davanti a un Congresso “ostile”, a maggioranza interamente repubblicana. Un'ostilità che può bloccare molte delle idee del presidente e che si è respirata in aula, a camere riunite, con i conservatori freddi durante buona parte dell'intervento. La loro reazione formale non si è fatta attendere. La neofita senatrice dell'Iowa Joni Ernst - ex colonnello e allevatrice - ha ricevuto dal partito l'incarico della replica televisiva: ha ringraziato cortesemente Obama ma ha messo in chiaro i limiti di qualunque cooperazione. «Gli americani soffrono, ma quando domandiamo soluzioni troppo spesso Washington risponde con le stesse vecchie logiche che hanno portato a fallite politiche quali Obamacare». Tra i pochi temi comuni ha toccato quello degli accordi commerciali, nell'area del Pacifico e dell'Atlantico, invocato anche da Obama per facilitare l'export.

Obama, invece, si è spinto ben oltre nel mettere a fuoco una piattaforma democratica con la quale guidare il partito fino alla prossime elezioni presidenziali. E se ha chiesto al Congresso «dibattiti sui contenuti degni di questa istituzione» che non degenerino in paralisi partitiche, non ha mancato neppure lui stoccate agli avversari, ricordando loro che è ancora lui il presidente: «Non ho più campagne elettorali da combattere, ma questo è perché ho vinto le ultime due». E ha detto che porrà il veto a eventuali leggi repubblicane che svuotino le sue maggiori vittorie, dalla riforma sanitaria a quella della finanza.
Ha delineato un'agenda domestica improntata a rilanciare un'identità popolare dei democratici. Ha preso ad esempio la storia di una giovane coppia invitata nel palco della First Lady che, colpita duramente dalla crisi, oggi ha di nuovo casa e lavoro ma si aspetta che il governo faciliti maggiori opportunità.

La sua Middle class economics chiede salari piu' alti, a cominciare da quello minimo, posti di lavoro di qualità e maggior mobilità sociale. Arma cruciale una riforma fiscale: Obama propone 320 miliardi in aumenti delle tasse sui più ricchi - aggravi delle aliquote su guadagni di capitale e beni ereditati - e tagli delle imposte per 235 miliardi a favore dei ceti medi e meno abbienti in dieci anni, a cominciare da crediti triplicati per i figli a carico. Ma non solo. Accanto alle iniziative sul fisco ci sono gli investimenti per rendere in gran parte gratuiti i “community college”, i corsi universitari biennali di qualificazione, con una spesa da 60 miliardi. E altri investimenti in infrastrutture e per garantire un calo nei costi dei mutui. Sul lavoro propone assenze pagate per ragioni familiari e di malattia di sette giorni l'anno.

La politica estera ha fatto il suo ingresso nella seconda parte del Discorso. Ha definito quella americana una leadership internazionale “intelligente”, che unisce forza diplomatica a militare, che fa leva sulla costruzione di coalizioni come avvenuto nel caso della lotta a Isis. E contro ISIS ha invitato il Congresso a fare la sua parte, a passare una risoluzione che autorizzi esplicitamente l'uso della forza contro l'organizzazione estremista e terrorista. Ha poi citato il disgelo con Cuba e i progressi negoziali con l'Iran, minacciando ancora una volta il veto in caso di nuove sanzioni parlamentari contro Teheran.

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