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La chiave è «liberare» le banche

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La chiave è «liberare» le banche

  • –Riccardo Sorrentino

Due hanno funzionato, uno no. Il quantitative easing (Qe) ha avuto effetti diversi nelle tre economie dove è stato applicato: ha fatto uscire dalla recessione Stati Uniti e Gran Bretagna, ma non è riuscito a portar fuori dalla deflazione il Giappone, che promette di crescere - secondo l’Fmi - persino più lentamente di Eurolandia. Al punto che ieri la Nippon Ginko ha reso più espansiva la propria politica.

Chiedersi perché è importante, ora che la Bce sta lanciando, con tanto ritardo, il suo Qe. La risposta è semplice: con “quantitative easing”, per comodità, vengono chiamate due cose profondamente diverse. Altrimenti non si spiegherebbe perché Ben Bernanke, dopo aver lanciato i suoi acquisti di titoli, ammise che «il verdetto sul quantitative easing è piuttosto negativo».

L’ex presidente della Fed tentò in realtà di imporre, per le sue operazioni sui bond, il nome più appropriato di “credit easing”. Non ebbe successo. Anche in questo caso la ragione è semplice: il quantitative e il credit easing si effettuano allo stesso modo. Si acquistano titoli finanziari. Il punto è come. Nel quantitative easing si punta ad aumentare le dimensioni del bilancio della banca centrale e, in questo modo, la base monetaria. L’enfasi è quindi sul passivo dei conti. Il nuovo obiettivo della Nippon Ginko, fissato ieri, è proprio quello di aumentare la base monetaria «a un ritmo di 80 trilioni di yen l’anno».

Per ottenere questo obiettivo, la banca centrale di Tokyo acquista di tutto: titoli di Stato, ma anche fondi su indici azionari, fondi immobiliari, corporate bond e commercial paper. L’idea è che aumentando la base monetaria saliranno, nel tempo, i prezzi. A cominciare dalle quotazioni finanziarie, comprese quelle del dollaro rispetto allo yen, che così perde terreno. I molti tentennamenti della Nippon Ginko, che si spaventa spesso delle sue stesse politiche e manda segnali discordanti ai mercati ha molto limitato l’effetto del suo Qe, mentre la struttura molto avanzata dell’economia giapponese ha tratto poco giovamento dalla svalutazione. La cattiva salute dei bilanci delle banche e delle imprese ha fatto il resto.

È invece direttamente sui bilanci delle imprese, e soprattutto quelle bancarie, che intende agire il credit easing: quello della Fed e della Bank of England (BoE). L’enfasi è sul tipo di asset acquistati, e quindi sull’attivo della banca centrale. Acquistando titoli di Stato (la BoE ne ha comprato il 30% del totale in mano ai privati), le banche centrali “liberano” i bilanci delle aziende di credito che sono così incentivate a fare investimenti di tipo diverso.

Per questo motivo la Fed ha acquistato bond ma anche Mortgage backed securities, i titoli che impacchettano mutui, per dare spazio anche ai prestiti al settore immobiliare. Ha avuto successo anche se il canale bancario, negli Usa, copre soltanto il 20% delle fonti di finanziamento delle imprese (è l’80% in Eurolandia). La BoE ha anche acquistato quantità limitate di commercial paper e corporate bond, ma al solo scopo di migliorare il funzionamento di quei mercati.

Cosa sceglierà la Bce? Probabilmente un insieme delle due esperienze. Diverse dichiarazioni del presidente Mario Draghi danno già peso all’idea che si punti a un credit easing. Non c’è mai stato, nelle sue parole, alcun riferimento alla base monetaria e quindi al passivo, ma solo alle dimensioni e alla composizione degli attivi; e proprio in questo contesto ha parlato di credit easing. La Bce mira quindi sui bilanci delle banche cercando di “liberare spazio”; e, in questo senso, aver concluso l’Asset quality review sulle loro voci attive aumenta l’efficacia degli acquisti. Quando però ha spiegato che le aspettative di inflazione sono legate alle dimensioni del bilancio Bce, ha sottolineato anche gli effetti di un Qe classico. Sarà dunque importante, oggi, capire qual è l’ordine degli obiettivi intermedi della sua politica monetaria. L’obiettivo finale, si sa, è quello di far salire l’inflazione.

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