TOKYO - La scadenza dell'ultimatum è domani: il governo giapponese – oltre a chiedere consigli e aiuti un po' ovunque - sta sicuramente cercando canali di contatto con i rapitori dei due cittadini nipponici di cui l'Isis minaccia la decapitazione se non sarà pagato un riscatto di 200 milioni di dollari. “Stiamo esplorando ogni possibilità per salvare le loro vite”, ha dichiarato in una conferenza stampa il capo di Gabinetto Yoshihide Suga, pur aggiungendo di non essere in grado di confermare che i due rapiti siano ancora in vita.
Un esperto giapponese di diritto islamico, Ko Nakata, 54 anni, ha dichiarato oggi in una conferenza alla sala stampa estera di essere in grado di contattare militanti dello stato islamico e di voler fare il possibile per cercare di liberare i connazionali, anche recandosi in Medio Oriente. Una offerta di contribuito per una mediazione è arrivata anche da Kosuke Tsuneoka, un giornalista che fu rapito in Afghanistan nel 2010 e ritiene di avere buoni contatti.
Il premier Shinzo Abe mai avrebbe immaginato di tornare dal suo viaggio di “goodwill” in Medio Oriente – dove ha promesso aiuti per un totale di 2,5 miliardi di dollari per contribuire a stabilizzare l'area – costretto a fronteggiare una crisi di ostaggi esplicitamente legata dai terroristi alla sua trasferta e all'offerta di un contributo di 200 milioni di dollari in aiuti non militari per i Paesi sotto pressione dell'Isis. Sia nell'ufficio del premier sia al Ministero degli esteri – oltre che in Giordania, dove è stato inviato il viceministro degli esteri Yasuhide Nakayama– sono attive unità di crisi.
La telefonata con Gentiloni
Al momento dello scoppio della vicenda, il Giappone si è trovato con il premier e i ministri degli Esteri e della Difesa all'estero. Questo in fondo ha facilitato la ricerca di sostegni. Per esempio, Abe ha potuto chiedere direttamente un aiuto ai leader della dirigenza palestinese, nel corso della visita al mausoleo di Arafat. Il ministro degli esteri Fumio Kishida era in Europa e ieri ha telefonato anche al titolare della Farnesina Paolo Gentiloni.
Gentiloni, si legge in una nota, ha manifestato piena solidarietà per i due cittadini giapponesi rapiti in Siria ed ha espresso apprezzamento per lo stanziamento di 200 milioni di euro che il Giappone ha messo a disposizione per aiuti umanitari alle popolazioni colpite dalla crisi siriana.
Kishida ha sottolineato l'importanza della collaborazione dell'Italia nella vicenda dei due cittadini giapponesi rapiti. I due ministri hanno infine ribadito l'impegno comune per fare fronte alla sfida del terrorismo e per rafforzare la cooperazione informativa con l'obiettivo di salvaguardare la vita e l'incolumità dei propri connazionali.
Opzioni limitate
Abe ha ribadito che il Paese “non cederà al terrorismo”, ma politicamente deve dare anche la sensazione che sta facendo di tutto per salvare le vite dei due connazionali. In passato, non sono mancati casi di cedimento a ricatti terroristici. Esplicitamente, non è stata dichiarata una categorica esclusione di pagamenti.
Le opzioni a disposizione del governo nipponico sono comunque limitate. Da un lato, l'entità del riscatto richiesto e i tempi brevi dell'ultimatum (72 ore) fanno pensare che l'Isis non punti davvero allo scambio tra soldi e prigionieri. Dall'altro, pagare un riscatto simile metterebbe in difficoltà il governo anche sul piano internazionale (data l'intransigenza dell'alleato Usa in proposito), mentre le limitazioni costituzionali all'uso della forza rendono improponibile un tentativo di liberazione anche nell'ipotesi remota che gli ostaggi venissero localizzati. Il ministro della Difesa britannico Michael Fallon, in un incontro con l'omologo Gen Nakatani a Londra, ha chiesto al Giappone di non pagare, pensando anche alle conseguenze future.
I dubbi sul video
I dubbi sul video rilasciato dall'Isis sono forti: vari esperti ritengono che si tratti di un fotomontaggio e che l'uomo mascherato non si trovi effettivamente in mezzo ai due ostaggi. Questo lascia pensare che l'obiettivo dell'Isis sia soprattutto mediatico, oltre che finalizzato a cercare di spaventare i Paesi alleati degli Usa. E' tra l'altro emerso che a moglie di uno degli ostaggi, il rispettato giornalista freelance Kenji Goto (l'altro è invece Haruna Yukawa, uno strano esperto di sicurezza), aveva già ricevuto una richiesta di riscatto nell'ottobre scorso (pari a meno di un decimo dell'importo richiesto ora): sembra quindi possibile che, di fronte a uno stallo, l'Isis abbia preso l'occasione del viaggio di Abe in Medio Oriente per un “colpo pubblicitario”, legando appunto la richiesta di riscatto ai finanziamenti promessi da Tokyo contro il terrorismo.
Possibili conseguenze politiche interne
L'opinione pubblica giapponese appare molto colpita. C'è anche chi rimprovera ad Abe di avere enfatizzato sabato scorso al Cairo che uno stanziamento di 200 milioni di dollari sarebbe stato finalizzato a “supportare i Paesi che combattono lo stato islamico”. In questi giorni Suga e altri esponenti dell'esecutivo hanno sottolineato che questi soldi andranno ad aiuti umanitari, per salvare le vite dei rifugiati nel conflitto in corso. Difficile che i miliziani dell'Isis colgano il messaggio che non si tratta di aiuti militari. Gli analisti politici già si dividono sulle possibili conseguenze politiche della vicenda. Alcuni ritengono che l'opinione pubblica si dimostrerà contraria a un maggiore coinvolgimento del Paese nelle vicende internazionali, ma non sono pochi quelli che pensano che Abe accelererà sui suoi piani per alzare il profilo internazionale del Giappone sul fronte della sicurezza e del contrasto al terrorismo. Il premier intende lasciar passare l'appuntamento delle elezioni regionali di aprile per poi promuovere la legislazione attuativa della possibilità di “difesa collettiva” - che amplia le possibilità di intervento all'estero delle Forze di Autodifesa -, già ammessa l'anno scorso con una interpretazione ufficiale creativa della Costituzione.
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