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L’economista Ciocca: il “modello Draghi” va sancito per…

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l’ex vicedirettore di bankitalia

L’economista Ciocca: il “modello Draghi” va sancito per statuto

Pierluigi Ciocca
Pierluigi Ciocca

Lo ha detto da Francoforte il presidente della Bce, Mario Draghi, lo ha ribadito da Davos Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia: il Qe, la decisione di acquistare sul secondario titoli di stato liberando liquidità finché sarà necessario per combattere la deflazione sarà un intervento efficace, funzionerà. Eppure questa decisione, sotto il profilo squisitamente politico, è il frutto di un compromesso. E la scelta di condividere il rischio derivante dall’acquisto di titoli sovrani solo al 20%, lasciando in capo alle banche centrali nazionali( e dunque ai contribuenti dei singoli stati) l’80% della responsabilità potrebbe alla lunga minare efficacia e credibilità del governo monetario in Europa.

Ne è convinto Pierluigi Ciocca, economista, accademico dei Lincei, una vita trascorsa nella banca centrale italiana, di cui per undici anni è stato vice-direttore generale. Ciocca ha appena pubblicato un libro con Donzelli intitolato, significativamente, “La banca che ci manca” per spiegare che le difficoltà incontrate da Mario Draghi nella gestione della politica monetaria europea e l’attrito prodotto dall’eterno no tedesco non sono certo il frutto di incomprensioni di carattere con il presidente della Bundesbank Jens Weidmann: esse rispecchiamo due diverse modalità di interpretazione della politica monetaria, rispetto alle quali sarebbe opportuno che l’Europa scegliesse una volta per tutte, se del caso, modificando il Trattato europeo.

Le due modalità sono altrettanto “nobili”, perché si ispirano a due scuole di pensiero antiche: la prima risale al settecentesco Henry Thornton, per arrivare fino a Keynes e Minsky e vede l'attività del banchiere centrale come un’attività discrezionale e pragmatica nella politica monetaria, nonché “interventista” nella stile di vigilanza bancaria. Questo pensiero ha prodotto la tradizione operativa americana e anche la tradizione operativa italiana. La seconda linea di ragionamento, spiega Ciocca nel libro, parte invece da David Ricardo e arriva fino a Milton Friedman, secondo il quale il problema principale di una banca centrale è impedire che gli assetti monetari si trasformino in fonte di instabilità : dunque, per un buon central banking non serve l’interventismo ma servono regole predeterminate, tali da limitare la stessa discrezionalità della banca centrale, perché l’unico bene pubblico da proteggere è il valore della moneta. Questa è l’origine del pensiero tedesco e del suo stile operativo.

Ma, spiega Ciocca, la crisi che abbiamo attraversato ha fatto sì che negli Stati Uniti si riaffermasse con forza il primo paradigma, cosicché oggi la Federal Reserve ha il compito istituzionale di mediare fra l’obiettivo dei prezzi e quello dell’occupazione, può comprare e vendere titoli di Stato e altri titoli (e si è visto ai tempi di “Elicopter Ben”) perfino all’emissione e si sono potenziati i suoi poteri di vigilanza sulle banche. In Europa, invece, la stabilità dei prezzi è tuttora imposta statutariamente alla Bce come obiettivo prioritario, da perseguire anche quando, come oggi, la disoccupazione è molto alta e l’inflazione molto, molto bassa. Forse, è la conclusione del libro, la scelta su che tipo di banca centrale si vuole davvero nell’Eurozona non è un problema da lasciare in eredità ai nostri nipoti. E andrebbe sancita anche attraverso una modifica istituzionale.

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