Ai più sarà sfuggito, data la lentezza e la cautela dei cambiamenti in Arabia Saudita. Ma re Abdullah, morto alla probabile età di 91 anni, era un riformatore. Ha dato alle donne il diritto di voto alle elezioni municipali che si svolgeranno a data da destinarsi. Ha aperto loro la Shura, il parlamento consultivo, non eletto e dai poteri limitati; ha cambiato i programmi di studio, sottraendone il controllo al clero wahabita; ha costruito università e nuove città; ha proposto una pace a Israele, il “Piano Abdulla”, che a Gerusalemme hanno ignorato.
L'Arabia Saudita ha annunciato la scomparsa del suo sovrano e anche l'ascesa al trono del suo successore, il principe ereditario Salman Abdul Aziz al Saud, suo fratellastro
Un prodotto della pallida primavera di Abdullah sono i quasi tre milioni di navigatori sul web fra i 18 milioni di sauditi (altri 8 milioni sono lavoratori stranieri). E al-Mujtahidd, “Lo Studioso”, il misterioso personaggio che su Twitter denuncia quotidianamente la corruzione nella casa reale. O ancora il mullah Salman al-Odah, 2,6 milioni di followers, che invoca riforme democratiche nei suoi tweet.
Ma il più seguito è un altro religioso, Muhammad al-Arifi, ultraconservatore: 2,8 milioni di followers. E' anche per questo che Abdullah, sesto re della casa al-Saud, è stato un pallido riformatore agli occhi degli occidentali: nessuno è certo di sapere quanto seguito avrebbe un monarca progressista nel Paese e nella pletorica famiglia di 22mila principi – uno ogni mille sauditi, in Gran Bretagna sono uno ogni 5 milioni - alcuni dei quali educati ad Harvard, altri finanziatori dei gruppi qaidisti.
Abdullah bin Abdulaziz al Saud è diventato principe ereditario nel 1982, re di fatto nel '95 quando un ictus rese incapace Fahd, e monarca a tutti gli effetti nel 2005, alla morte di Fahd. Nel frattempo Abdullah era sopravvissuto a due principi ereditari: Sultan, 81 anni e Nayef di 79, morti nel giro di pochi mesi. E prima di morire aveva quasi escluso dalla linea di successione il terzo erede Salman, 80 anni, malato di Alzheimer. Il successivo sarebbe Ahmed, 79 anni, che tuttavia l'anno scorso era stato dimesso dalla carica di ministro degli Interni perché si era opposto a una riforma delle forze di sicurezza. Il nuovo re dovrebbe essere il più giovane tra i figli sopravvissuti di Abdulaziz al-Saud: il principe Murquin, quasi 70 anni. A febbraio Murqin era stato nominato vicepremier, la carica che prelude al trono: in Arabia Saudita il primo ministro è il re, il vice di fatto già amministra il Paese. Ma il mese successivo, per essere più chiaro sulle sue intenzioni, Abdullah lo aveva anche scelto come vice-principe ereditario, saltando altri fratelli più anziani. Da che esiste la monarchia e il Paese, re è sempre stato il figlio maschio più anziano di Abdulaziz, il fondatore di tutto.
Tre discipline erano considerate le più difficili per uno studioso della politica: la cremlinologia, la Curia romana e la casa reale Saudita. La prima materia è scomparsa con l'Urss, la seconda è in corso di semplificazione grazie a papa Francesco, la terza resta ancora uno studio ai limiti dell'esoterico. L'apparente semplicità della successione dinastica nasconde i problemi e le possibili fragilità del regime. Abdulaziz, il fondatore del regno nel 1932, morto nel '53, aveva avuto 16 mogli (o 21) e 37 figli (o 45). La regola che aveva imposto, prevedeva la successione del figlio più anziano. Sessant'anni dopo l'Arabia Saudita è una monarchia geriatrica, destinata a celebrare ogni anno i funerali di un re o di un principe ereditario.
Di fronte a questa evidenza, alla necessità di passare alla seconda generazione, i nipoti di Abdulaziz già sessantenni o alla terza, il riformatore Abdullah aveva deciso di aggiustare le regole dinastiche. Nel 2007 aveva creato un Consiglio dei Leali composto dai figli di Abdulaziz ancora vivi e dai figli di quelli deceduti, il cui compito sarà di scegliere collegialmente il più adatto a regnare. Ma non subito. Dopo di lui, Abdallah aveva deciso che il suo successore sarà ancora un fratello, l'ultimo dei figli di Abdulaziz: Murqin, appunto.
A 70 anni Murqin potrebbe garantire un quindicennio di continuità dinastica. Poi deciderà il Consiglio dei Leali, mai sperimentato prima, ma già abitato da interessi e idee in competizione. Se non tutti re, ogni figlio di Abdulaziz è ministro; ciascuno ha nominato i suoi figli viceministri, vicecomandanti, vice governatori. Ogni dicastero, le forze armate, gli organi di sicurezza, il petrolio, le banche, le aziende statali sono feudi di clan familiari della casa reale. In Arabia Saudita il settore privato produce solo un posto di lavoro su dieci.
Ritornando in patria da una delle numerose operazioni alle quali si era sottoposto, due anni fa Abdullah aveva annunciato un gigantesco piano di spese sociali: assunzioni nel settore pubblico, aumenti salariali, 500mila case popolari. La spesa stanziata è di 130miliardi di dollari. Voleva essere la via saudita per prevenire l'esplosione di una Primavera nel Golfo. Secondo il Fondo Monetario Internazionale non è una soluzione: la spesa è insostenibile anche per il primo produttore mondiale di petrolio. La disoccupazione è al 12% ma è al 40 fra i sauditi di 20/24 anni. Se tre milioni twittano, altri tre vivono sotto la linea di povertà. Il Paese fa un tale consumo interno di petrolio che, secondo gli esperti, tra 25 anni incomincerà a importarne.
“Quello che con la spada abbiamo preso, con la spada conserveremo”, disse una volta Abdullah, ricordando il modo in cui suo padre aveva conquistato la penisola arabica, spodestando gli Hashemiti che ora governano la Giordania. Non si riferiva tanto alla minaccia iraniana e al millenario scontro fra sunniti e sciiti. Probabilmente pensava alle Primavere arabe che aveva ostacolato con tutto il suo denaro e l'influenza: in Egitto fu l'ultimo ad abbandonare Hosni Mubarak al suo destino e il primo a sostenere il generale al Sisi. Anche per un riformatore saudita quel genere democratico di ribellione araba sarebbe sempre stato incomprensibile e inaccettabile.
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