
E se un giorno, tra quattro o cinque anni, si scoprisse che alla fine è stata la Grecia a salvare l’euro, che la bestia nera del club dei ciechi virtuosi è riuscita a farli rinsavire?
Ed è riuscita a farli rinsavire, con un bagno nella realtà purificata da troppa dottrina ideologica, convertendoli alla logica di una governance flessibile e pragmatica?
L’interrogativo può suonare paradossale proprio quando nell’Eurozona riemerge la minaccia Grexit, cioè l’ipotesi che il paese possa presto essere messo alla porta, invitato a lasciare la moneta unica o provocato al punto di convincersi a farlo da solo. Può sembrare anche una provocazione e un po’ lo è. Ma forse meno di quanto non appaia a prima vista.
Dopo sei anni di crisi che non passa, con l’Eurozona stremata da una crescita al lumicino regolarmente ridimensionata dalla varie previsioni internazionali, da una disoccupazione che investe 26 milioni di persone eguagliando la somma della popolazione di Belgio e Olanda, dalla deflazione con la caduta media dei prezzi dello 0,2% in dicembre per la prima volta dal 2009, dall’euroscetticismo che avanza dovunque minando la tenuta dei partiti tradizionali e la stabilità dei Governi.
Dopo questa lunga prova provata che la politica fin qui seguita ha abbattuto il deficit medio (2,3%) ma non il debito (95%) penalizzando comunque seriamente lo sviluppo, non è affatto escluso che proprio dalle imminenti elezioni ad Atene arrivi lo shock politico capace di imprimere una sterzata costruttiva alla governance europea, oggi in mezzo al guado.
La Grecia, che rappresenta il 2% del Pil euro e il 3% del suo debito, è stata il principio e al tempo stesso il paradigma della crisi diventata presto contagiosa perchè il paese si è trasformato nel laboratorio di una governance europea improvvisata, ideologizzata, devastante nei fatti e quindi insostenibile in termini politici, sociali ed economici.
La troika ne ha applicato le direttive diventando l’incubo dell’Eurozona, il moloch anti-democratico da combattere e distruggere. I dati dicono che in 5 anni la Grecia ha perso il 25% del Pil, ha visto salire i disoccupati al 25%, i giovani al 55% insieme alla fuga massiccia di cervelli (150.000 persone). Però il debito, che doveva scendere, è schizzato dal 125 a quasi il 180%. «Nemmeno dopo la guerra avevamo vissuto una simile recessione» denuncia Dimitrios Papadimoulis, sinistra radicale, vicepresidente dell’Europarlamento.
Per questo di fatto è l’Europa il grande elettore di Syriza, l’Europa che ha sconfitto l’attuale Governo di centro-destra negandogli le concessioni che presto sarà costretto a fare al suo successore. Il partito di Alexis Tsipras, in testa ai sondaggi promettendo la fine dell’austerità e il rinegoziato sul debito, è il figlio naturale di questi errori molto più che la creatura riuscita di un abile populista. A riprova, tuttora quasi l’80% dei greci resta favorevole alla moneta unica.
Di fronte all’evidenza dei problemi scatenati più che risolti in Grecia, il primo riflesso di un’Eurozona sempre più dominata dalla cultura nordico- tedesca è stato lo stesso emerso all’inizio della crisi: scorciatoia Grexit.
Ma Grexit è molto più facile da dire che da fare: non trova basi legali nei Trattati Ue, quindi l’espulsione è impossibile se l’interessato non condivide. Peggio, provocherebbe un effetto domino molto simile a quello che in passato ha propagato il contagio ellenico in tutta l’Eurozona, scatenando un attacco speculativo in grande stile sul debito sovrano. E relativa destabilizzazione dell’euro, tuttora irrisolta.
Oggi, si ripete, il pericolo è più contenuto: le banche tedesche e francesi, allora sovra-esposte ad Atene, non corrono più grossi rischi. Il debito ellenico è più pubblico che privato. Però il potenziale di destabilizzazione politica dell’area è intatto, in parte inesplorato e per questo anche più insidioso.
I partiti euro-scettici, nazionalisti, populisti o comunque alla ricerca di un’altra Europa, proliferano nell’Unione. Quest’anno, tra regionali e nazionali, ci saranno elezioni in 7 paesi dell’euro su 19. In Spagna, Francia, Olanda i partiti anti-sistema sono in cima ai consensi popolari. Ma anche in Portogallo e Finlandia le contestazioni sono molto forti.
Grexit dunque farebbe subito volonterosi proseliti. E direbbe ai mercati che la moneta unica non è irreversibile, la politica del ”whatever il takes” del presidente della Bce, Mario Draghi, non è più credibile e il suo quantative easing vano. Isolando la Grecia invece di stemperarne i problemi con un negoziato europeo, si suonerebbe di fatto una nuova carica per la speculazione galvanizzata dal rischio-sfascio. Senza contare che un suo default costringerebbe i Governi dell’euro, che finora hanno puntellato il paese sborsando essenzialmente garanzie, a coprirle con denaro vero dei contribuenti.
Nasce da qui, dalla constatazione che dall’euro non si può tornare indietro a meno di non essere disposti, tutti senza eccezione, a pagare il salatissimo prezzo del disastro collettivo, la speranza di una svolta intelligente nella governance dell’Eurozona.
Il programma Juncker di investimenti da 315 miliardi di euro in 3 anni per rilanciare la crescita e, soprattutto, l’iniezione di flessibilità interpretativa nell’applicazione del patto di stabilità sono segnali concreti di realismo: non significano sconfessione ma ragionevole allentamento delle politiche di rigore, dosi più limitate e tempi più lunghi, per renderle sostenibili. E utilizzo degli “sconti” per accelerare le riforme, cioè la modernizzazione dell'economia europea in perdita di competitività mondiale.
Significano invece che Francia e Italia, seconda e terza economia dell’euro, in marzo non saranno sanzionate per i loro ritardi. Evitando così una crisi politica dal potenziale ben più dirompente di quella greca.
Naturalmente per poter funzionare e scongiurare il peggio, l’implosione dell’euro, la nuova politica di Juncker ha bisogno della collaborazione di tutti gli attori della partita: sia della serietà dei Governi che devono fare riforme e risanamenti veri sia del senso di responsabilità di quelli che, a dispetto delle loro virtù, non riescono più a crescere quanto dovrebbero e quindi dovrebbero avere interesse a un’Europa più convergente, dinamica e risanata.
Nella nuova logica ispirata da due campioni di realismo come Juncker e Draghi e imposta da una realtà politica ed economica europea che non si può continuare a ignorare, le rivendicazioni greche andranno accolte quel tanto che basta a disinnescare una crisi che non conviene a nessuno. Per questo, dopo essere stata a lungo il problema, la Grecia potrebbe un giorno ritrovarsi attribuito un po’ di merito per la soluzione dei troppi problemi dell’euro ancora aperti.
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