Ora comincia la parte più difficile, per la Grecia e per l'Europa. Se dovessimo misurare la distanza tra i proclami e le promesse del grande vincitore, Alexis Tsipras, e la postura assunta negli ultimi giorni dalle istituzioni europee e dal Governo tedesco dovremmo subito concludere che è incolmabile. La contrapposizione è tale che Syriza impugnerà il piano di salvataggio da 240 miliardi di euro e dirà basta all'austerità riducendo tasse e aumentando la spesa, mentre sul fronte opposto i creditori, per circa due terzi i governi dell'Eurozona e il Fondo monetario internazionale, continueranno a esigere il rispetto degli accordi.
Dietro l'apparente rigidità
Se ciascuno dovesse restare sulle proprie posizioni assisteremmo presto alla materializzazione di un incubo ricorrente degli ultimi anni, Grexit, l'uscita della Grecia dalla moneta unica. In realtà è uno scenario che non desidera e che non si augura nessuno: né i greci, né Tsipras, né la Commissione europea e molto probabilmente nemmeno la Germania. E' una storia estenuante che può finire solo in tre modi, a seconda di come si muoveranno o non si muoveranno le parti in causa: Grexit, appunto; la continuazione del piano di austerità firmato in cambio degli aiuti; un'attenuazione delle politiche di rigore fiscale che hanno strangolato il Paese, accompagnata da una ristrutturazione del debito.
Grexit, austerità o concessioni?
La vittoria di Syriza è un capitale politico per la Grecia che va maneggiato con cura e questo Tsipras lo sa bene. L'economia ha registrato negli ultimi mesi segni marginali di miglioramento e un ritorno alla crescita che ancora non si riflettono sul mercato del lavoro e sullo standard di vita. Tanto faticosamente e lentamente Atene sta risalendo la china, appesantita dalle politiche di austerità imposte dalla troika (Fmi, Bce e Commissione Ue), tanto rapidamente una rottura con i creditori potrebbe far precipitare il Paese nel caos. Perché? Senza copertura del piano di salvataggio, che scade teoricamente a febbraio ma che sarà probabilmene prorogato a luglio-agosto, la Grecia non sarà in grado di rispettare le scadenze sul debito. Andrà in default ed essendo fuori dal bailout non potrà nemmeno beneficiare del quantitative easing annunciato dalla Bce. A rischio, sempre da parte della Bce, potrebbe essere anche il meccanismo (Ela) che permette alle Banche centrali nazionali di attingere alla liquidità messa a disposizione da Francoforte in caso di emergenza. Un'emergenza che potrebbe presto manifestarsi a fronte di un mancato accordo Atene-Troika attraverso una fuga di capitali come è accaduto a Cipro.
Il possibile compromesso
L'accordo di bailout impone alla Grecia un surplus primario annuo pari al 4,5% del Pil. Per Syriza sembra sia accettabile almeno un dimezzamento di questo target che dovrebbe però essere accompagnato da una ristrutturazione del debito. Tsipras in campagna elettorale ha parlato di una cancellazione del 70% su un ammontare complessivo ormai di 320 miliardi, pari al 175% del Pil, ma la richiesta è irrealistica, non sarà mai accettata dalla troika e tantomeno dalla Germania. Più probabile invece, come già accaduto in precedenza, un allungamento delle scadenze e una riduzione degli interessi, anche se la scadenza media del debito greco è di 16, anni e mezzo, 5 il doppio della Germania e dell'Italia. Non sarà comunque facile per il vincitore delle elezioni greche mantenere un surplus primario del 2% senza venire meno alla sua grande promessa di «finirla con l'austerità». Lo stesso vale per le riforme strutturali, dalle privatizzazioni alla deregulation di ampi settori dell'economia, ritenute indispensabili dalla troika e dal governo tedesco, ma che nel programma di Syriza sono state depennate a favore di piani di spesa per mettere fine all'emergenza «umanitaria e sanitaria» del Paese.
Il ruolo della Germania
Bisogna rassegnarsi, ma la salvezza della Grecia e dell'Eurozona è ancora una volta nelle mani di Angela Merkel (e in quelle di Mario Draghi). Non sarà facile per la cancelliera venire incontro al governo Tsipras anche perché sa che l'opinione pubblica tedesca, già furibonda per il Quantitative easing della Bce, non è in animo di fare sconti ai debitori. Essendo però una grande pragmatica, Angela Merkel sa bene che la rigidità assoluta da parte della Germania porterà la Grecia fuori dall'unione monetaria e quindi a un drammatico deterioramento di una situazione ecomomica e sociale già insostenibile. Berlino diventerebbe agli occhi dei greci e dell'Europa stessa la responsabile dell'inizio della disgregazione della moneta unica. Dovrà andare incontro al nuovo premier greco, primo capo di governo dell'eurozona appartenente a un partito anti-sistema, con un'accettabile proposta di alleggerimento del debito e di attenuazione dell'austerità. E dovrà farlo con la consapevolezza che il nuovo e tenace interlocutore, Alexis Tsipras, è in buona parte il prodotto dell'accanimento terapeutico voluto dalla Germania sul paziente greco.
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