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Dossier La sinistra del Pd abbassa i toni: serve convergenza

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    La sinistra del Pd abbassa i toni: serve convergenza

    • –di Em.Pa.

    «È importante che il Pd riesca a superare la prova del Quirinale unito ed è sbagliata l'impostazione di cercare un candidato “contro”. Va cercata la massima condivisione, e in questo caso dobbiamo cercare l'interlocuzione con Fi».

    A parlare così non è Matteo Renzi, ma il suo più accanito avversario all'interno del Pd: proprio Stefano Fassina, l'ex viceministro del governo Letta che solo tre giorni fa ha accusato il suo segretario e premier di essere stato il regista dei 101 franchi tiratori che quasi due anni fa impallinarono Romano Prodi sulle scale del Quirinale. E se Fassina parla così, non stupisce che l'esponente della minoranza Area riformista che è dall'altra parte del filo rispetto a Fassina, ossia il più vicino a Renzi anche per il ruolo delicato di capogruppo alla Camera, parli ancora più esplicitamente di necessità di ritrovare l'anima e l'unità del partito nella prova Quirinale: «Siamo in un settimana cruciale, ciascuno di noi ha ancora sulla pelle le ferite del 2013. Ora è più che mai indispensabile un rapporto leale e franco per evitare le drammatiche vicende di due anni fa».
    Ecco, se tutto andrà bene o almeno benino, quella di ieri sarà ricordata come la giornata in cui la minoranza dem ha deposto le armi decidendo di stare con tutti e due i piedi, e in modo convinto («da parte nostra c'è disponibilità piena», ribadisce Fassina) dentro la partita Quirinale. Perché il voto della scorsa settimana sull'Italicum, che ha visto 30 senatori del Pd contro con una scelta che ha reso decisivi i voti di Forza Italia, alla fine si è rivelata un boomerang per gli stessi oppositori interni di Renzi. Se lo schema Italicum fosse riproposto per l'elezione del successore di Giorgio Napolitano significherebbe davvero consegnare l'elezione del Capo dello Stato al patto del Nazareno e non avere peso nella partita politica più importante della legislatura. Il tentativo o il retropensiero di mettere in difficoltà Renzi proponendo una candidatura “contro” nelle prime tre votazioni è naufragato del tutto grazie anche al forno grillino che rimane ben chiuso. A insistere su questa strada è rimasto solo Pippo Civati, che proprio ieri ha scritto una lettera alla segreteria del Pd chiedendo appunto di «ripartire da Prodi». E nelle due assemblee che Renzi ha tenuto in mattinata con i parlamentari, prima alla Camera e poi al Senato, solo Davide Zoggia e Walter Tocci hanno fatto interventi di contrasto (il primo mettendo ancora sotto accusa il patto del Nazareno e chiedendo anche una verifica di governo a breve, il secondo invocando un “tecnico” autorevole). E invece la quadra nel Pd si sta trovando appunto su una figura “politica”, di provenienza o area democratica, in grado di raccogliere il maggior numero di consensi dentro il Pd prima ancora che in Forza Italia. Un politico di rango, insomma (come scriviamo qui a fianco in serata la scelta sembrava restringersi a Sergio Mattarella, Pier Carlo Padoan o Giuliano Amato).

    Contatti tra Renzi e il suo predecessore Pier Luigi Bersani ce ne sono stati, e un incontro tra i due dopo il gelo seguito ai fatti del Senato sull'Italicum ci sarà tra oggi e domani. Ed è chiaro che dietro il generale abbassarsi dei toni di tutta la minoranza c'è la regia dell'ex segretario. «È il giorno delle buone intenzioni», ironizza dopo la riunione dei deputati il bersaniano Alfredo D'Attorre, uno degli antirenziani più in vista, che non a caso ieri ha rinunciato contrariamente al solito a prendere la parola in assemblea». Insieme uniti, insomma, o almeno ci si prova. Anche perché - si ragiona in casa renziana - questa volta i franchi tiratori sarebbero ben identificabili. Se i 101, nonostante le accuse di Fassina, avevano provenienze diverse e incrociavano malcontenti diversi, un grosso numero di franchi tiratori questa volta avrebbe una sola provenienza: la minoranza del Pd. Sullo sfondo c'è la sopravvivenza stessa di una parte del partito quando sarà il momento di formare le liste alle prossime elezioni politiche. Perché dalla “ditta”, Civati a parte, non si esce. «Restiamo nel Pd per cambiarne la rotta e lavorare alla futura alleanza con Sel, ognuno con la sua autonomia», dice Fassina marcando le distanze dalla proposta di “doppia tessera” lanciata durante la kermesse milanese di Sel da Nichi Vendola.

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