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Attacco jihadista a Tripoli, 9 morti

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Attacco jihadista a Tripoli, 9 morti

MINACCE ALL’EUROPA

L’Isis vuole usare l’immigrazione clandestina per attraversare

il Mediterraneo: «La situazione nelle città europee

si trasformerà in un inferno»

Il Corinthia Hotel è un luogo simbolico di Tripoli, un’area protetta e blindata. È nei suoi lussuosi e ampi saloni che la missione in Libia dell’Onu tiene le conferenze. Ed è nelle sue stanze che alloggiano le missioni internazionali e i giornalisti stranieri. Qui si danno appuntamento i businessmen e le autorità politiche di Tripoli.Il grave attentato sferrato ieri mattina, e rivendicato da un gruppo jihadista libico affiliato all’Isis,costato la vita ad almeno nove persone, tra cui quattro stranieri, rappresenta una grave escalation.

Secondo le prime ricostruzioni un commando di 4-5 uomini ha fatto esplodere un’autobomba all’entrata dell’hotel uccidendo subito tre guardie di sicurezza per poi fare irruzione nella reception aprendo il fuoco, e asserragliarsi al 26° piano con diversi ostaggi filippini, poi liberati. Circondati dalle forze di sicurezza, avrebbero azionato i giubbotti esplosivi, ma altre fonti hanno invece dichiarato che sarebbero fuggiti e che un terrorista sia stato catturato. Tra le vittime straniere ci sarebbero un cittadino americano, un francese, due filippini e un sudcoreano. All’interno dell’hotel si trovavano anche degli italiani, che sono riusciti a fuggire. Il gruppo che ha rivendicato l’attentato -la Provincia di Tripoli dello Stato islamico - sarebbe una costola dei jihadisti attivi a Derna. L’obiettivo sarebbero stati diplomatici stranieri. Fonti maltesi riferiscono però che l’assalto doveva colpire Omar al-Hasi, il premier del Governo ombra creato a Tripoli in agosto che però è riuscito a fuggire. Altri esponenti dell’apparato di sicurezza hanno puntato il dito contro cellule di gheddafiani.

La Libia è ormai in balia del caos, spaccata in due, se non di più. Dallo scorso agosto una coalizione di milizie islamiche – al-Fajar - ha conquistato Tripoli, creando un Governo parallelo che compete con quello “esiliato” a Tobruk, ai confini con l’Egitto, “laico” e riconosciuto dalla comunità internazionale. Due sono dunque i Governi, due i Parlamenti, due anche i ministri del Petrolio che pretendono di essere i soli rappresentanti del settore energetico nazionale, tanto strategico quanto in difficoltà (la produzione di petrolio è crollata). Sono due anche gli “eserciti” che si fronteggiano sempre più spesso.

In Libia si è creato un terreno fertile per l’ascesa dei gruppi estremisti che aspirano a emulare le gesta dell’Isis.In ottobre a Derna, turbolenta città della Cirenaica, gruppi jihadisti avevano annunciato la creazione di un Califfato proclamando la loro alleanza allo Stato islamico e sventolando le bandiere nere dell’Isis. Un piccolo regno del terrore, dunque,davanti alle coste greche e italiane, certo non esteso come quello in Siria,ma altrettanto spietato. L’imbarazzante silenzio e l’inazione della comunità internazionale mantenuti in questi quattro mesi sembravano riflettere l’illusione, o la speranza,che la presenza dell'Isis in Libia potesse essere confinata a Derna e dintorni. Un errore fatale. Mese dopo mese le cellule jihadiste hanno guadagnato terreno. Già in dicembre fonti dell’intelligence americana parlavano di almeno 10 campi di addestramento per terroristi nei dintorni di Derna.

L'ultimo,accorato appello per fermare la deriva estremista era arrivato sabato mattina da Ali Tarhouni, presidente dell'Assemblea costituente della Libia. A Davos l’ex ministro del Petrolio aveva detto: «I guerriglieri dell’Isis si sono insediati nella regione di Bengasi», aggiungendo che la loro marcia era continuata verso Ovest, nell’area di Sirte e quindi di Misurata. Scavalcata Tripoli, truppe di jihadisti avrebbero occupato Sabrata, poi l’importante porto di Zawiyah fino a Zuara, porticciolo da cui partono molti barconi di migranti diretti a Lampedusa e a Malta.

Forse Tarhouni ha calcato la mano nel tentativo di scuotere gli ascoltatori. Ma le recenti immagini di miliziani che sventolavano bandiere dell’Isis a Zawiya rendono più credibile il suo allarme. Se anche il porto di Zuara fosse controllato dai jihadisti il pericolo che nascondano i loro uomini tra i disperati in fuga per l’Europa sarebbe reale. In un messaggio non verificabile, l’Isis avrebbe minacciato di voler usare «l’immigrazione clandestina» in Libia «per arrivare in Europa». «Se riusciremo a sfruttare questo canale, la situazione nelle città europee si trasformerà in un inferno»J.

Il capo della diplomazia europea,Francesca Mogherini,ha subito condannato l’attentato definendolo «un altro riprovevole atto di terrorismo». «È un tentativo di boicottare, danneggiare e influenzare negativamente gli sforzi in corso a Ginevra per riconciliare le parti in conflitto in Libia», gli ha fatto eco da Rabat il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, riferendosi ai negoziati di Ginevra tra le fazioni rivali libiche per cercare di trovare un accordo e creare un Governo di unità. I primi colloqui sarebbe stati promettenti. Ma il fatto che tra i 17 delegati dei gruppi invitati ci fossero le brigate di Misurata ma non esponenti dei gruppi armati di Alba libica non è una buona notizia.

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UN PAESE NEL CAOS

In balia delle milizie

La Libia è ormai in balia del caos, spaccata in due. Dallo scorso agosto una coalizione di milizie islamiche – al-Fajar - ha conquistato Tripoli, creando un Governo parallelo che compete con quello “esiliato” a Tobruk, ai confini con l’Egitto, “laico” e riconosciuto dalla comunità internazionale. Due sono dunque i Governi, due i Parlamenti, due anche i ministri del Petrolio che pretendono di essere i soli rappresentanti del settore energetico nazionale, tanto strategico quanto in difficoltà (la produzione di petrolio è crollata). Sono due anche gli “eserciti” che si fronteggiano sempre più spesso. L’assalto all’hotel Corinthia di Tripoli sarebbe stato un tentativo di assassinare il primo ministro del governo islamico Omar al-Hasi.