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Reggio Emilia, Brescia e Mantova, in “provincia” di…

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l’analisi

Reggio Emilia, Brescia e Mantova, in “provincia” di Cutro. Lo strapotere (anche politico) della cosca Grande Aracri

Reggio Emila, bassa mantovana, Brescia sono da anni i terreni di caccia al nord della cosca Grande Aracri di Cutro (Crotone). Leggenda vuole che ci siano più cutresi a Reggio Emilia che non nel paese natio calabrese ma, certo, leggenda non è che moltissimo candidati politici a caccia di consensi, voti e benevolenza, sempre più spesso, nel corso delle campagne elettorali che in Italia non hanno mai fine, tengono i propri comizi oltre che in queste province anche in Calabria.

Per capire l'importanza dell'operazione “Aemilia” basta sapere leggere e ricordare. Ad esempio ciò che va scrivendo da anni la Direzione nazionale antimafia (Dna) che, non a caso, attraverso il capo della Procura Franco Roberti, oggi è accanto a Roberto Alfonso, a capo della Procura di Bologna, per spiegare i dettagli dell'indagine condotta in mezza Italia.
Roberto Pennisi, sostituto procuratore nazionale antimafia, nella relazione della Dna dello scorso anno scriveva letteralmente: «Il distretto di Bologna, non omogeneo dal punto di vista delle presenze criminali e del modo di atteggiarsi delle medesime, vede nelle zone corrispondenti alle province di Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza la presenza di insediamenti di ‘ndrangheta operanti secondo il sistema della “delocalizzazione” delle attività criminali da parte del “locale “ calabrese (una cellula formata da almeno 50 affiliati, ndr) senz'altro individuabile in quello di Cutro (KR), in atto monopolizzato dalla ‘ndrina Grande Aracri».

Secondo il pm antimafia Pennisi le formazioni che in Emilia sembrano ridursi alla ‘ndrina originaria di Cutro che fa capo a Nicolino Grande Ararcri, spiccano nell'universo ‘ndranghetista per la loro rivendicata autonomia rispetto alla ‘ndrangheta della Provincia di Reggio Calabria, che nel territorio settentrionale in cui si è espansa ha attuato il sistema della colonizzazione.
Questo non ha impedito l'ingresso, in Emilia, anche della camorra, con la quale, nel nome degli affari, la ‘ndrangheta di Cutro è giunta a patti.

Quest'ultima, come ricorda Pennisi e come sembra dimostrare l'operazione “Aemilia”, ha tratto ancor più linfa dai gravi eventi sismici che hanno colpito recentemente la regione Emilia Romagna e che hanno comportato la necessità della esecuzione di importanti opere pubbliche con relativi consistenti stanziamenti di denaro pubblico. «E, come sempre in questi casi, l'arrivo attraverso imprese costituenti loro diretta promanazione, ovvero ad esse collegate, delle formazioni criminali, come le api sul miele. E non si esita ad affermare che ciò si sia verificato sulla base di un meccanismo che si era cominciato ad elaborare in occasione di diverso evento tellurico in altra zona (Abruzzo), ove un fenomeno del genere aveva avuto modo di constatarsi» scrive ancora testualmente Pennisi.

Qui Brescia.
Nella stessa relazione della Dna, il sostituto Pier Luigi Maria Dell'Osso (dal 12 febbraio 2014 capo della procura generale di Brescia), descriveva per la provincia di Brescia uno scenario non dissimile da quello della contigua regione Emilia Romagna. Uno scenario affinatosi ed evolutosi nell'arco di diversi anni, che vede l'intensa e preminente attività di gruppi inizialmente costituenti semplici proiezioni della ‘ndrangheta cutrese, ma non solo. Le decennali attività di Nicolino Grande Aracri nel bresciano sono fin troppo note per richiedere più che un semplice richiamo.

Dell'Osso ribadisce i concetti già chiari a Pennisi e che riemergono in “Aemilia”: negli anni, i gruppi ‘ndranghetisti operanti nell'area hanno mostrato significativi profili di autonomia, per così dire, rispetto ai luoghi d'origine: autonomia che non significa affatto, si badi bene, elisione degli inscindibili legami storici e di sinergie a seconda dei bisogni, ma piuttosto adozione di forme e modalità d'azione modulate elasticamente sulle peculiarità del territorio e, in quanto tali, necessitanti di strategie e decisioni da attuare in tempi brevi. «In tale contesto, si sono quasi naturalmente – scrive Dell'Osso - attenuate e rimodulate le interlocuzioni sistematiche ed organiche d'obbligo con le strutture dei luoghi d'origine, senza che ciò abbia affatto comportato una separazione e tanto meno una frattura. Così, i gruppi ‘ndranghetisti attivi nel bresciano hanno acquisito caratteristiche, in qualche modo, proprie, calibrate a seconda dell'evoluzione economico-sociale dell'area di azione; congiuntamente hanno sperimentato particolari forme di interrelazione, di vario genere, con altre consorterie criminali presenti nell'area emiliana ed in quella veneta. Emblematica di una realtà siffatta è, ad esempio, una sorta di disinteresse al controllo del territorio che, peraltro, sarebbe non certo agevole e a forme di strutturazione di tipo squisitamente tradizionale».
Quasi superfluo ricordare che a Cutro e a Crotone la cosca Grande Aracri si divide il territorio con le altre grandi ‘ndrine e da lì coordina i traffici di stupefacenti e le grandi operazioni di riciclaggio in ogni attività economica a partire dall'edilizia.

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