Cina, Canada, Eurozona, Danimarca, India e ora Singapore. Il domino delle politiche monetarie espansive fa cadere un’altra tessera. Stamattina, la banca centrale di Singapore (Mas) ha spedito la propria valuta ai minimi dal 2010, annunciando che interverrà per indebolire il cambio. Lo ha fatto al termine di una riunione straordinaria, in anticipo rispetto a quella in programma per aprile. Nel giro di un mese sono ormai nove le banche centrali ad aver varato misure espansive.
L’autorità monetaria della città-stato usa il tasso di cambio come proprio principale strumento di politica monetaria e ha in calendario solo due decisioni all’anno. Uno schema rigidimente seguito, tanto che quello di oggi è il primo strappo alla regola dall’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. L’ultimo allentamento risale invece al 2011.
Anche Singapore, come gran parte delle economie sviluppate, ha a che fare con prezzi in caduta: sempre oggi Mas ha corretto le stime d’inflazione per il 2015, prevedendo una forchetta compresa tra +0,5 e -0,5%. A ottobre aveva indicato un apprezzamento compreso tra lo 0,5 e l’1,5%. A novembre e a dicembre, il costo della vita si è contratto, manifestando una dinamica disinflazionistica che potrebbe accelerare nei prossimi mesi. Le cause sono le solite: domanda globale fiacca e deboli quotazioni del petrolio. Sempre secondo la banca centrale, il Pil di Singapore cresecerà a un tasso compreso tra il 2 e il 4% quest’anno.
Mas pilota la propria valuta guidandone il corso nei confronti di un paniere formato dalle monete dei suoi principali partner commerciali, all’interno di una banda di oscillazione che non viene resa pubblica. Il cambio viene orientato modificando la pendenza (vale a dire la velocità della variazione) e l’ampiezza della banda, oltre che la parità centrale. La banca centrale ha fatto sapere che agirà solo sulla pendenza della banda, permettendo non più di una «modesta e graduale rivalutazione». Come risultato, il dollaro di Singapore ha perso fino all’1,4% nei confronti della moneta statunitense (negli ultimi tre mesi la flessione è del 6%) ed è sceso nei confronti delle 16 principali valute.
Poche ore dopo l’annuncio della banca centrale di Singapore, è toccato alla Thailandia comunicare le proprie misure. I tassi non sono stati toccati, ma l’istituto ha affermato che utilizzerà gli altri strumenti in suo possesso per mantenere espansiva la propria politica monetaria. Tassi fermi anche per la Malesia, che però ha a che fare con una moneta molto debole (negli ultimi tre mesi è stata la peggiore dell’area, conn una flessione del 9,5% sul dollaro Usa) e inflazione compresa tra il 2,5 e il 3,5% quest’anno.
La settimana prossima tornerà a riunirsi la banca centrale indiana, che ha appena tagliato a sorpresa il costo del denaro di 25 punti base. In questo caso, molti analisti scommettono già su un nuovo intervento. Lo stesso potrebbe accadere in Corea del Sud, messa sotto pressione dalle politiche iper-espansive del Giappone, suo grande concorrente commerciale.
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