Prima la riunione mattutina (la seconda sul Colle) con i deputati e i senatori del Pd. Poi l’atteso incontro con il suo predecessore alla guida del Pd Pier Luigi Bersani per la sigla della pax interna sul presidente della Repubblica. Poi l’incontro teso con Silvio Berlusconi, fermo sul nome di Giuliano Amato e contrario - anche se in casa renziana raccontano di un no secco - a quello di Sergio Mattarella proposto dal premier.
C’è una notte per decidere, e stamane in un nuovo incontro Berlusconi dovrà dare una risposta definitiva. Ma il forcing di Renzi è formidabile. Come spiega nel faccia a faccia con Bersani, non c’è nulla di personale contro Amato. «Il punto è che il presidente della Repubblica non lo può scegliere il capo dell’opposizione, lo deve scegliere il Pd. Non posso passare per quello che subisce i diktat del contraente del patto del Nazareno». Musica per le orecchie di Bersani, che pure assieme a Massimo D’Alema e ai giovani turchi è stato in questi giorni uno dei principali sponsor di Amato. Ma anche Mattarella era nella rosa di Bersani due anni fa, e sul nome dell’ex vicepremier di D’Alema c’è ampia convergenza nel Pd: bersaniani cuperliani dalemiani e naturalmente tutta la frastagliata compagine dei cattolici, lieti di avere un presidente cattolico del Pd dopo due presidenti laici. Dunque è fatta: Renzi ha scelto di compattare il suo Pd. E in serata è il vice Lorenzo Guerini a dettare la linea: «Si parte e si arriva con Mattarella».
La minaccia esplicita recapitata a Berlusconi da Renzi è quella di eleggere Mattarella senza Forza Italia. I 34 grandi elettori di Sel convergerebbero. E in serata Renzi fa nuovamente capolino a Montecitorio per incontrare i dissidenti grillini e rendere ancora più plastica la sua “strategia della tensione” nei confronti del leader azzurro. La delegazione di ex grillini è composta da Walter Rizzetto, Marco Baldassarre e Mara Nucci. «Ci ha chiesto quanti siamo e quale orientamento proponiamo. Siamo circa 25, non proponiamo nomi: gli abbiamo detto no per Amato ma non c’è un no per Mattarella». Sulla carta il Pd più Sel più i dissidenti grillini (in tutto una trentina) fanno 575 grandi elettori, e il quorum dalla quarta votazione è 505. C’è poi lo spettro di Romano Prodi che continua ad aggirarsi, e questo - come è noto - è il vero incubo di Berlusconi. «Dobbiamo trovare presto un accordo - è stato il ragionamento fatto da Renzi durante il faccia a faccia - perché se domani (oggi) il M5S decide di votare subito Prodi che fa il Pd?». In mancanza di un accordo con Fi su un nome gradito in casa Pd, insomma, come spiegare alle truppe democratiche che Prodi non va bene?
Rischierebbe davvero Berlusconi di ritrovarsi un presidente della Repubblica eletto a maggioranza, sia pure risicata, restando fuori dalla partita più importante della legislatura? E rischierebbe davvero Renzi l’impallinatura del suo candidato ripetendo la tragedia di due anni fa? È improbabile che la soluzione non passi ancora una volta da un accordo tra i due contraenti del patto del Nazareno. E c’è da ricordare che lo stesso Mattarella, quando due anni fa fu sondato da Bersani dopo l’impallinatura di Franco Marini, si disse disponibile solo a patto di una reale convergenza («sono un giudice costituzionale...»). Anche se Renzi ha deciso di puntare tutto su Mattarella sicuro che poi alla fine Berlusconi dovrà convergere per non restare fuori, l’alternativa a Mattarella naturalmente resta sullo sfondo. Walter Veltroni o Piero Fassino o Anna Finocchiaro, non sgraditi al Cavaliere, potrebbero tornare in pista all’ultimo momento. Ma ancora più probabile è la scelta di un non politico. Ieri è stato fatto girare dai renziani il nome del commissario Anticorruzione Raffaele Cantone, ma chiaramente in funzione di pressing su Berlusconi per farlo cedere su Mattarella. Un pm al Colle sarebbe un affronto per il leader di Fi. Più realistica l’ipotesi istituzionale di Pietro Grasso, magari riempendo la poltrona di presidente del Senato con Pier Ferdinando Casini (l’altro candidato ufficiale al Colle del duo Alfano-Berlusconi oltre ad Amato). O quella di “rassicurazione economica” del governatore di Bankitalia Ignazio Visco. In ogni caso Renzi vuole imprimere un’accelerazione: oggi il Pd chiederà in riunione dei capigruppo di votare una volta oggi (come previsto) ma salendo a tre domani e a due sabato.