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Dossier La scommessa (vinta) sul Pd

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    La scommessa (vinta) sul Pd

    Questa volta non è solo Renzi che ci mette la faccia. Su Sergio Mattarella ieri si sono spesi i principali esponenti del Pd da Bersani a Veltroni, Cuperlo e la Finocchiaro. Su questa elezione c'è la faccia di tutto il Pd.
    Non è solo il precedente del 2013 la forza del leader Pd ma è la forza di un percorso che ha portato tutti i “capi” corrente a esporsi su Sergio Mattarella come “il” candidato del Pd, quello più unitario, dietro cui non si nasconde nessun altro nome, nessuna opzione B. Il vice segretario Guerini in uno dei suoi colloqui sembra che abbia detto che dopo Mattarella c'è la “matteata” - cioè un nome come quello di Cantone che proprio ieri è stato a Palazzo Chigi - ma è chiaro che quello è lo scenario della disperazione, dell'azzardo. Uno scenario alternativo a quello che ha invece scelto il premier che in questa circostanza ha dato prova di realismo politico mirando a un solo obiettivo: la compattezza del Pd. A differenza di Bersani che fece un percorso a zigzag, prima strizzando l'occhio ai grillini eleggendo i presidenti Grasso e Boldrini, poi a Berlusconi, proponendo per il Colle Marini, e poi rovesciando lo schema con Prodi, Renzi ha tirato dritto. E la sua prima scelta - che ieri ha detto essere anche l'ultima - sono quei 444 voti di cui è portatore il suo partito.

    Nell'elezione del capo dello Stato i voti non si pesano ma si contano, ed è alla dote Pd che il leader ha mirato, ben sapendo che nessuno degli altri protagonisti politici poteva garantirgli quel numero. Non Berlusconi che ne ha 130 e ne potrebbe perdere tra i 30 e i 40 di Fitto, non Alfano che ha una parte di Ncd che flirta con l'area renziana, non il centro di Casini che sembra possa lentamente virare sulla scelta di Mattarella in nome di una tradizione democristiana. E dunque quell'unico colpo che Renzi poteva sparare sul Quirinale l'ha indirizzato su quel numero: 444. E poi ha tessuto una tela insieme a Guerini per agganciare altre forze politiche che potessero anche sostituire i voti del patto del Nazareno: i 32 voti di Scelta civica più i 16 di Per l'Italia, i 34 di Sel, i dissidenti grillini e il gruppo misto vicino alla maggioranza. Insomma, ha capito che solo il numero magico del Pd, così alto, poteva diventare una forza di gravità, una calamita intorno cui costruire una candidatura che passasse alla quarta votazione. Di un presidente eletto solo con la maggioranza assoluta Renzi ne aveva parlato fin dall'inizio come se avesse messo nel conto di poter perdere i voti di Forza Italia.

    E così sembra. Ieri la tattica di Berlusconi e Alfano è stata quella di muoversi come un'alleanza, una resurrezione di quel centro-destra andato in pezzi con la condanna del Cavaliere e la sua uscita dal Senato. Il palcoscenico, del resto, è quello del Quirinale, uno dei più visibili e prestigiosi per alludere a una nuova operazione politica in vista delle regionali e anche di una legge elettorale che premia la lista e quindi le aggregazioni e non le coalizioni. Calcoli collaterali che lasciano aperto il dubbio sul patto del Nazareno e sulla sua sopravvivenza anche dopo l'elezione di un presidente fatto senza o addirittura contro Berlusconi.
    In pochi credono che il rapporto tra Renzi e l'ex Cavaliere possa rompersi ma intanto il premier lo ha sacrificato in nome del suo partito. L'unità di 444 vale - oggi - più del voto futuro sull'Italicum alla Camera o della riforma del Senato. Renzi continua a mirare gli obiettivi a breve termine, ora è il Quirinale tra un paio di settimane saranno di nuovo le riforme. Intanto mette tutto il suo partito, i capi corrente, alla prova. Una prova che sabato potrà essere di ritrovato orgoglio o di rinnovata incoscienza.

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