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Dossier Le contraddizioni di Alfano

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    Le contraddizioni di Alfano

    La scelta di Renzi su Mattarella aveva prodotto come primo effetto un apparente ritorno del bipolarismo, con un Pd compatto e un centro-destra, Forza Italia e Ncd, sulle barricate. Il problema, però, è che al momento il bipolarismo non c'è. Alfano è al Governo e il suo “strappo” lo ha messo al centro di troppe contraddizioni al punto di essere costretto alla retromarcia.

    La mossa del leader Pd sul Colle è diventata un angolo per il partito di Angelino Alfano. Un angolo in cui è entrato spedito il leader del Nuovo centro-destra per cercare un asse con Silvio Berlusconi in vista delle elezioni regionali ma senza considerare le conseguenze che avrebbe comportato. E le contraddizioni, ieri, sono emerse tutte. Per questo il caso di giornata sono state le notizie che arrivavano da Ncd, prima di guerra, poi concilianti, poi di forte divisione tra i parlamentari, alcuni più vicini all'ex Cavaliere, altri più filo governativi. Una fibrillazione che è stata seguita forse più di quelle prodotte da Forza Italia proprio per gli effetti immediati che avrebbe avuto sulla maggioranza.

    E infatti lo strappo di Alfano contro il premier non avrebbe - poi - potuto giustificare la scelta di restare al Governo. Si può dire che i piani sono diversi, che un conto è governare, altro conto sono le istituzioni, ma se si apre una polemica direttamente con il capo del Governo per una scelta come quella sul presidente della Repubblica, logica vorrebbe che si traessero le conclusioni. Insomma, non si può accusare Renzi di non aver coinvolto una delle forze di maggioranza e poi restare in maggioranza. O l'uno, o l'altro.

    L'errore è stato che Alfano ha imboccato sul Colle il bivio con Silvio Berlusconi in uno schema di bipolarismo ma senza che ci sia il bipolarismo. Ncd è in un Governo di “larghe” intese con il Pd e l'inversione a U sul Cavaliere portava a uno schema di uscita dall'Esecutivo e al ritorno all'opposizione ma il risultato è stato quello di rendere visibili proprio quelle divisioni tra “berlusconiani” e filo-governativi. E così è accaduto. In serata, una pattuglia di 11 senatori di Area popolare ha annunciato il voto su Sergio Mattarella esponendo il gruppo parlamentare a una prima scissione. E mettendo ancora più nell'angolo Alfano. Una strategia opposta a quella di Renzi che ha capito una lezione fondamentale sull'elezione del capo dello Stato: che il primum vivere di un segretario è tenere compatto il proprio partito e il pacchetto di voti di cui è portatore. E invece sia Alfano che Berlusconi, come in passato è stato per il Pd, si sono presentati all'appuntamento sul Quirinale con divisioni interne forti e visibili.

    Ma non è stata solo questa contraddizione a spingere sull'otto volante Ncd dalla prima scelta per la scheda bianca fino alla spaccatura in serata con la maggioranza del partito favorevole al voto per Sergio Mattarella. Gli altri errori sono stati almeno due. Il primo è che Alfano non solo è al Governo ma è ministro dell'Interno, un ruolo delicato e centrale negli assetti dello Stato che rende quasi imbarazzante la scelta di non votare il futuro presidente della Repubblica. Come può il titolare di uno dei dicasteri più cruciali, quello che ha con un filo diretto con il Colle astenersi dalla votazione? O è un azzardo o un'ingenuità istituzionale.

    Infine, ci sarebbe anche una questione meramente elettorale anche se non di poco conto. Se Sergio Mattarella verrà eletto sarà il primo siciliano al Quirinale, una “medaglia” per la Regione da cui proviene lo stesso Alfano e dove ha il suo bacino elettorale. Sarebbe piuttosto difficile per lui tornare a fare campagna elettorale in Sicilia senza aver contribuito a eleggere un siciliano come lui al Colle e per giunta un ex Democristiano. Nelle piazze e nei comizi sarebbe piuttosto difficile usare l'argomento del «metodo» di Renzi. Quando si cercano voti conta il risultato.

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