«Angelino, non capisco come faccia un ministro degli Interni a non votare il presidente della Repubblica. E per di più una personalità come Sergio Mattarella». È forse questo il passaggio decisivo del lungo e teso colloquio tra Matteo Renzi e Angelino Alfano alla Camera mentre i grandi elettori sono chiamati per la terza votazione, che finirà come previsto con una nuova fumata nera e un mare di schede bianche. Da qui alla soluzione positiva del «grave problema politico» - per usare l’espressione di molti renziani - che avrebbe costituito il no di Alfano a Mattarella ci si arriva passo passo. Attraverso alcuni passaggi che vedono tra l’altro di nuovo protagonistra il presidente emerito Giorgio Napolitano.
Il leader centrista fa capire al premier che ha bisogno di una via di uscita. Il problema - spiega - non è Mattarella ma il metodo con cui si è arrivati alla sua designazione, tutto interno al Pd. Servirebbe un appello per un voto nell’interesse del Paese, bisogna chiarire che è una scelta che non riguarda solo il Pd ma che riguarda tutti e che non sono in campo eventuali cambi di maggioranza. Già, perché a colpire il Nuovo centrodestra è la subitanea convergenze sul nome di Mattarella del leader di Sel Nichi Vendola con i suoi grandi elettori (più di 30) e addirittura del gruppetto di transfughi del Movimento cinque Stelle (più di 20). Prima della soluzione positiva c’è anche un colloquio di una decina di minuti, dai toni molto vivaci, tra Alfano e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti nel corridoio antistante la sala del governo. E c’è anche un colloquio tra lo stesso Renzi e Napolitano, che casualmente si riposa tra una votazione e l’altra in una stanza che i commessi hanno liberato appositamente vicino a quella del governo. C’è infine una telefonata di Napolitano ad Alfano.
A chiudere, l’appello di Renzi che offre ai centristi - e forse anche alla stessa Forza Italia - la ciambella di salvataggio per una uscita più o meno decorosa dall’impasse: «Siamo di fronte alla concreta possibilità che una personalità autorevole e stimata da tutti, un servitore dello Stato come Sergio Mattarella, diventi il presidente della Repubblica con un voto ampio di settori della maggioranza e dell’opposizione parlamentare - detta il premier -. Non è una questione che riguarda un solo partito: la scelta del Capo dello Stato interpella tutti, senza distinzioni. Per questo auspico che sul nome di Mattarella, presidente di tutti gli italiani, si determini la più ampia convergenza possibile per il bene comune dell’Italia». Subito dopo una telefonata tra Alfano e Renzi suggella la ricomposizione: Ncd voterà per Mattarella, anche se la formalizzazione arriverà solo stamane. «Un colloquio molto cordiale - riferiscono fonti di Palazzo Chigi - improntato a ricostruire un clima sereno per consentire quella convergenza sul nome di Mattarella che il premier aveva auspicato». A cascata la conferma della scheda bianca da parte di Forza Italia, dopo che per tutto il giorno si era evocata la non partecipazione al voto.
Insomma, Renzi si appresta a raccogliere un successo oltre le aspettative. Dopo aver ricompattato il Pd attorno al nome più condiviso coinvolgendo attivamente il suo predecessore Pier Luigi Bersani, dopo aver fatto convergere su Mattarella l’ex alleato Nichi Vendola e i grillini fuoriusciti, riporta “a casa” anche l’alleato Alfano. Con molta probabilità stamane avremo il nuovo Capo dello Stato, e con molti voti in più del quorum di 505 (almeno 600, si calcola al Nazareno). Resta da vedere che fine farà il patto stretto con Berlusconi sulle riforme costituzionali e sull’Italicum, ma in casa renziana c’è ottimismo, e la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi con il vice del Pd Lorenzo Guerini stanno lavorando alla ricucitura con l’ex premier anche tramite Gianni Letta. D’altra parte - si ragiona - Berlusconi non ha molte alternative rispetto a quella di restare al tavolo delle riforme.
Intanto, ora che gli alfaniani si avviano verso il sì, al Nazareno si tira più di un sospiro di sollievo. Perché senza i centristi i margini erano davvero stretti: una settantina in più di 505. E i franchi tiratori ci saranno comunque, anche se stavolta il Pd è unito. «Una trentina, una quarantina sono fisiologici in un gruppo così ampio - ragionava in Transatlantico già giovedì il presidente del partito Matteo Orfini -. Non è in atto una fronda organizzata, si tratta di singoli mal di pancia e di singoli cani sciolti». Singoli ma pericolosi. Eppure in una riunione sempre alla Camera con lo stato maggiore del Pd lo stesso Renzi ieri ha detto di no alla proposta di “marcare” in qualche modo il voto (S. Mattarella piuttosto che Mattarella Sergio): «Mi fido dei miei, sarebbe un brutto segnale». Oggi la conta vera.