«I limiti non valicabili posti dalla Costituzione ad una visione troppo estensiva del ruolo del Capo dello Stato». Sergio Mattarella, che non ha mai amato la ribalta mediatica, viene dipinto come “silente”. Tutto vero, ma fino a un certo punto. Perché ad una delle domande chiave che sfarfallano nella pancia del sistema dei partiti – se sarà eletto interpreterà il suo ruolo “alla Scalfaro” o sceglierà un profilo più neutro e comunque meno interventista?- lui una prima risposta l'ha forse già data.
Risposta tanto più significativa se letta oggi, visto che il programma delle riforme impostato da Matteo Renzi, e fin qui condiviso da Silvio Berlusconi, finirà per impattare di fatto anche sul ruolo del Presidente della Repubblica (in particolare con la nuova legge elettorale, che rafforza l'impianto maggioritario del nostro sistema politico).
Novembre 2008. Su «Europa», quotidiano dell'allora Margherita, Mattarella ricorda Leopoldo Elia, scomparso poche settimane prima. Elia era stato un grande giurista, giudice e poi presidente della Corte costituzionale, cattolico democratico e politico democristiano, ministro delle riforme del Governo Ciampi al tempo del varo della nuova legge elettorale chiamata “Mattarellum”. Con lui, Mattarella aveva condiviso in Parlamento molte battaglie, da quella, dopo decenni di tentativi, per la prima legge sulla Presidenza del Consiglio a quella del 2005 contro la riforma della Costituzione voluta dal Governo Berlusconi (e che sarà bocciata dal referendum popolare nel 2006).
Per Mattarella Elia è «un Maestro». Un anno prima, nel 2007, Giuffrè Editore aveva mandato in libreria due volumi tosti dal titolo «Poteri, garanzie e diritti a sessanta anni dalla Costituzione». Tra i contributi più autorevoli quello di Elia: un rapido saggio su una “Lettera” confidenziale che il giudice costituzionale Mario Bracci aveva scritto nel dicembre 1958, anche sull'onda della riforma costituzionale gollista appena varata in Francia, al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.
Su «Europa» Mattarella richiama proprio quel saggio e la riconferma di Elia di quei paletti «invalicabili» posti dalla Costituzione ad una visione «troppo estensiva del ruolo del Capo dello Stato». Già, perché Bracci (scrivendo al presidente Gronchi, accusato dal fondatore del Partito popolare don Luigi Sturzo di eccessivo interventismo) poneva un problema: «Spostare il regime nei limiti consentiti dalla interpretazione della Costituzione, e per quanto sia politicamente possibile, dalla tradizionale prevalenza del Parlamento, spesso velleitaria, alla prevalenza del Presidenza della Repubblica verso quel tipo originale di repubblica presidenziale, che è resa possibile dalla lettera e dallo spirito della Costituzione e che il corso degli avvenimenti rivelerà, plasmerà e renderà adeguata alle esigenze del Paese». Insomma, il Presidente ha già tutti i poteri necessari, compresi quello di indirizzo di politico e «la permanente minaccia dello scioglimento delle Camere».
Elia scrive di «ipervalutazione» delle possibilità di intervento del Quirinale e ricorda un altro costituzionalista, Carlo Esposito, che aveva ritenuto anche lui che «fuori dalla grandi crisi» , il Presidente della repubblica parlamentare «dovesse in ogni suo atto procedere in collaborazione col governo, lasciando la decisione finale a chi portava la responsabilità degli atti presidenziali».
Mattarella, nel 2008, è sulla linea di Elia e lo interpreta riaffermando i principi della Costituzione come argine alla visione «troppo estensiva» del mestiere del Presidente della Repubblica. Il messaggio è felpato, indiretto, caratteristico di una disquisizione giuridica di alto profilo in lessico democristiano. E parrebbe non bastare per rispondere alla domanda «se verrà eletto, Mattarella seguirà un sentiero modello Oscar Luigi Scalfaro o una strada alla Cossiga-picconatore o alla Pertini?».
In realtà il Maestro di Sergio Mattarella, Leopoldo Elia, nell'unico scritto richiamato dall'oggi candidato Presidente della Repubblica per ricordarlo, scrive che gli «sembra innegabile che, sia pure nel quadro di una funzione di ultima garanzia del sistema, Pertini e Scalfaro abbiano utilizzato vie e mezzi molto simili a quelli indicati da Bracci». Il quale però, come abbiamo visto, «ipervalutava» i poteri del Presidente della Repubblica e sottovalutava «la forza dei partiti maggiori».
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