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Dossier I tre fronti di Renzi

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    I tre fronti di Renzi

    Una partita vinta. Ma un'altra se ne apre su tutte e tre le maggioranze battezzate da Renzi su Governo, riforme e Quirinale. L'unità del Pd è il dato di fatto di ieri ma sembra provvisorio, così come lo strappo con Ncd e Berlusconi scopre fronti che saranno sollecitati anche dalla vicina campagna elettorale sulle regionali.

    Al gioco del “chi vince e chi perde” nell'elezione di Sergio Mattarella sicuramente vince Matteo Renzi. È riuscito a eleggere un presidente alla quarta votazione - come aveva annunciato tra molti scetticismi - e a riunire un Pd che alle prove importanti finora si era sempre diviso. Ha vinto anche il partito democratico che ha superato un esame di unità interna ma le avvisaglie di una rapida ri-scomposizione si avvertivano già ieri quando Pierluigi Bersani avvisava Renzi che sulla legge elettorale si deve riaprire una trattativa alla Camera. Quindi una tregua a beneficio del Paese che però non archivia affatto le distinzioni dentro il partito. Renzi sa bene che le divisioni non sono risolte nemmeno tra le due aree della minoranza, quella vicina a Bersani e quella dei giovani turchi che - ieri - erano infastiditi da come l'ex leader si fosse affrettato a mettere il “cappello” sulla scelta di Sergio Mattarella.

    In alcuni suoi colloqui, Renzi ha detto di volersi occupare presto della “riorganizzazione” del partito e di voler ricominciare a girare l'Italia: un annuncio che conferma i problemi aperti. Con la sinistra restano le distanze sulle riforme, sia quelle economiche che istituzionali, ma a rendere più elettrico il clima c'è l'imminenza della campagna elettorale per le regionali previste in primavera. È quella la miccia che comincia ad accendersi e a far intravvedere già le fibrillazioni oltre che nel Pd anche nella maggioranza di Governo con Ncd. Molti degli inciampi del partito di Alfano nascono da quell'asse con Berlusconi che guarda alle elezioni regionali, un passaggio vitale per Ncd-Udc che non potranno sopravvivere senza un presidio nei territori e senza ceto politico locale.

    In questa prospettiva si muoverà anche Silvio Berlusconi che sceglierà la tattica giusta per non fallire il test delle urne, importante per Forza Italia soprattutto in Regioni come il Veneto o la Campania. Una tattica che potrebbe anche essere quella di un'opposizione dura che quindi porti allo strappo con Renzi sulle riforme e all'attacco della politica economica ed europeista del premier. Insomma, le tre maggioranze che finora hanno aiutato Renzi a centrare l'obiettivo delle riforme economiche, poi quelle istituzionali e, infine, il Quirinale potrebbero presto diventare minoranze. Un quadro a cui il premier può rispondere - questa volta - non con una mossa politica ma con i risultati di fatto.

    Sarà l'economia - i dati sull'occupazione e sul Pil - l'unica sponda in grado di rafforzarlo e non lasciarlo in balia delle nuove pressioni. Ci sono primi segnali positivi, quello dell'occupazione con 93mila nuovi posti di lavoro nel mese scorso rispetto a novembre, e finestre di opportunità che si aprono dopo il bazooka di Draghi e gli effetti sul dollaro e sui tassi. Una spinta positiva che per Renzi deve assolutamente tradursi in segni più dopo la chiusura del 2014 con il segno meno. Per riuscire a potenziare questa spinta servono misure che l'accompagnino come la delega fiscale - depurata dalla depenalizzazione delle frodi - e il taglio della spesa (la spending di Cottarelli) per abbassare le tasse. Senza la “sponda” di una ripresa, sia pure timida, Renzi difficilmente riuscirà a mettere a segno una nuova vittoria. Non basterà una mossa politica per gestire le tre maggioranze né per vincere alle elezioni regionali.

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