In Italia, tra voto segreto, maggioranze qualificate e votazioni che si possono ripetere all'infinito, l'elezione di un nuovo presidente della Repubblica è sempre stata una partita molto complicata da giocare.
In questo caso era un passaggio ancora più delicato per un segretario diventato premier senza elezioni e con un gruppo parlamentare del suo partito profondamente diviso. Poteva andare molto male per l'Italia e per Renzi . E invece è andata benissimo.
All'inizio di questa vicenda Renzi aveva tre obiettivi davanti a sé. Il primo: unire il suo partito intorno a un candidato accettato da tutte le componenti o quasi. Il secondo: eleggere un presidente con cui poter convivere senza troppi problemi. Il terzo: salvaguardare il rapporto di collaborazione con Berlusconi in modo da non compromettere il percorso delle riforme istituzionali.
Sulla carta sembravano tre obiettivi impossibili da raggiungere tutti insieme. Ma per Renzi erano tutti e tre molto importanti. Mancare il primo avrebbe voluto dire ripetere i disastri del 2013 e vedere la sua leadership fortemente compromessa davanti all'opinione pubblica e all'interno del suo partito. Eleggere una personalità “ingombrante” significava rischiare di complicare la sua azione di governo e forse il suo rapporto con le istituzioni e i partner europei. Rompere con Berlusconi avrebbe potuto compromettere il percorso delle riforme istituzionali e renderlo dipendente dagli umori della minoranza del Pd.
Alla luce di quello che è successo cosa si può dire sulla performance di Renzi? A giudicare dall'entusiasmo con cui la minoranza del Pd ha sottolineato prima la candidatura e poi l'elezione di Sergio Mattarella sembrerebbe di dover concludere che solo il primo di questi obiettivi è stato raggiunto sacrificando il secondo e il terzo. Ma sarà vero?
È ancora presto per fare un bilancio certo, ma qualcosa si può cercare di indovinare. Non c'è dubbio che il primo obiettivo sia stato raggiunto. E questo è un chiaro successo per Renzi. È riuscito laddove aveva fallito Bersani due anni fa. Sul secondo obiettivo è difficile fare previsioni.
Mattarella non è il candidato cui Renzi aveva pensato all'inizio della vicenda. È certo che il premier avrebbe preferito una figura più “renziana” e meno autonoma. Ma è altrettanto certo che Renzi è un leader molto pragmatico. Quando si è accorto che non sarebbe riuscito a ottenere quello che voleva ha cercato una altra soluzione che potesse tenere unito il partito e salvare il rapporto di collaborazione con Berlusconi. Pareva una cosa impossibile. Eppure per un momento è sembrato che sul nome di Giuliano Amato ci si potesse riuscire. A sentire Bersani era così. E qui Renzi si è trovato davanti a un bivio. Tra Amato e Mattarella è probabile che il primo sia stato considerato da Renzi più “ingombrante”. La scelta allora è ricaduta sul secondo al costo di mettere in crisi il rapporto con Berlusconi che preferiva Amato e diffida di Mattarella.
In questa decisione si riconosce lo stile di governo di Renzi. Invece di cercare un altro nome insieme a Berlusconi, e procrastinare la scelta, il premier ha puntato su Mattarella contando sul fatto che Berlusconi alla fine avrebbe accettato la sua decisione senza rompere il rapporto di collaborazione sulle riforme. È successo altre volte. La politica renziana di b rinkmanship ha funzionato prima e forse funzionerà ancora. Questo avrà pensato il premier nel momento di una scelta che rompeva con il metodo del Nazareno. Di questa decisione i più contenti sono quelli della minoranza Pd. Sono convinti di aver vinto su tutti i fronti. Pensano che Mattarella non sia un uomo di Renzi e questo è certamente vero. Ma pensano anche che il patto del Nazareno sia cosa del passato e che quindi da ora in avanti il premier debba fare i conti con loro. E questo non è affatto certo.
La chiave è ancora Berlusconi. Quale interesse ha il leader di Forza Itala a rompere con Renzi? A dar retta a Giovanni Toti sembra che non succederà. Ma la questione forse non è ancora del tutto chiusa dentro Forza Italia. Certo, la decisione unilaterale del premier sul nome di Mattarella ha creato malessere. Ma Mattarella non è una figura pregiudizialmente ostile a Berlusconi. Né più né meno di quanto lo sia stato Napolitano. Basta quindi uno sgarbo sul metodo per mettere in discussione una strategia di collaborazione che Berlusconi ha portato avanti fin qui con grande coerenza e qualche concessione? E quale strategia alternativa potrebbe perseguire rompendo con Renzi? Inseguire Salvini sul piano dell'antieuropeismo e della xenofobia? E con quali prospettive? Proprio adesso che l'economia dà segnali di ripresa e potrebbe aiutare Renzi a consolidare la sua posizione al governo.
La verità è che la rottura del cosiddetto patto del Nazareno comporta dei rischi sia per Renzi che per Berlusconi. Più per il secondo che per il primo. Il premier ha bisogno di Berlusconi per non essere ricattato da una parte dei suoi. Berlusconi ha bisogno di Renzi per continuare ad avere un ruolo politico e un governo non ostile. Vedremo nei prossimi giorni cosa succederà veramente.
Manca ancora questo tassello per fare un bilancio definitivo della performance di Renzi e una previsione sul futuro di questa legislatura, nata male ma che potrebbe finire meglio di quanto si potesse prevedere fino a poco tempo fa. Intanto, viva Mattarella e viva l'Italia.
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