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Dossier Il declino del centro-destra

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    Il declino del centro-destra

    La vicenda del Quirinale, prescindendo dal fatto oggettivo dell'elezione di un galantuomo come Mattarella e dalla vittoria politica di Renzi, determina evidenti effetti collaterali, primo fra tutti segna un ulteriore livello al ribasso nel declino del centrodestra italiano, una vera e propria discesa verso gli inferi dell'irrilevanza politica e prima ancora culturale.

    Gli errori grossolani e la goffaggine con cui è stata gestita la vicenda Quirinale non sono un fatto isolato, sono molto di più. Sono la conseguenza di una crisi di identità e di leadership, di proposta e di uomini.
    Sul terreno della tattica il centrodestra ha sbagliato tutto, sembra quasi ci sia stata una regia dell'autodistruzione .
    Ma per leggerne la crisi non bisogna soffermarsi ai tatticismi, che pure pesano e peseranno, bisogna guardare oltre, al vuoto culturale, di progetto e di programma che connota in questa fase storica lo schieramento moderato.
    La politica, secondo il giurista Carl Schmitt, autore del saggio Le categorie del politico, si determina nelle differenze, nella rappresentanza e nella proiezione di elaborazioni culturali diverse, in un gioco hegeliano di tesi e antitesi. Ebbene quali idee, quali visioni, rappresenterebbe oggi il centrodestra? Quale idea per l'Italia di fronte alle turbolenze globali?
    L'Occidente, dopo secoli di dominio, subisce il peso della sfida globale, la plurilateralità dei soggetti economici, l'attacco del fondamentalismo islamico, migrazioni senza regole. Si tratta di un passaggio epocale rispetto al quale chi coltiva i valori della libertà, dell'identità della Patria, del conservatorismo compassionevole e sociale, dovrebbe fare uno sforzo di elaborazione culturale.
    Nel bagaglio della destra ci sarebbero i valori borghesi di Longanesi, l'anticonformismo di Prezzolini e Montanelli, la libertà di Machiavelli e Croce, la coscienza della crisi di Spengler e Dostoevskij. Le esperienze riformatrici di Margaret Thatcher, di Ronald Reagan e prima ancora di De Gaulle.

    Nel resto del mondo quando si pensa agli schieramenti moderati si richiamano i valori della sobrietà, del perbenismo, del rigore morale, del conservatorismo. In Italia, il centrodestra, anche nella rappresentazione fisica delle sue leadership è l'opposto di ciò che dovrebbe essere. Una incapacità di cogliere il passo dei tempi e di affermare quell'identità culturale, teorizzata da una nobile linea di pensiero, – che pure ci sarebbe – accompagnandola alla credibilità delle persone.
    Il Berlusconi del '94 propose la “rivoluzione liberale” al blocco sociale di imprenditori, lavoratori autonomi, artigiani e commercianti nati dall'economia degli anni Ottanta e privi di voce politica. Creò un suggestivo sogno italiano, tradito irreparabilmente da anni di governo senza riforme.
    Questa esperienza è chiusa dal tempo e dai fatti, oggi il centrodestra, in evidente soggezione psicologica e morale nei confronti del centrosinistra, sconta il mancato rinnovamento, l'incapacità di archiviare il passato e costruire nuove idee e soggettività. Non basta, si ritrova col macigno di un coagulo d'interessi che lega una sua parte al perseguimento di fini eterogeni rispetto agli interessi dei suoi possibili elettori e quasi del tutto estranei alla politica.

    Se nel trascorso ventennio la presenza di Berlusconi in politica era stato l'elemento capace di catalizzare consensi e di unificare esperienze diverse all'interno della formula del centrodestra, oggi il persistere di questa presenza, appare un limite oggettivo.
    È un errore pensare che questo tema sia solo interno al centrodestra, perché la pluralità dell'offerta politica e con essa l'opzione dell'alternanza, costituiscono una ricchezza della democrazia. Non c'è democrazia liberale e costituzionale compiuta se non c'è possibilità per il cittadino elettore di valutare scelte alternative e soprattutto diverse visioni culturali e programmatiche.
    «La destra che non c'è», scrisse Giuseppe Prezzolini, tratteggiando quel grande anelito conservatore e richiamando Ortega y Gasset che chiarisce come il valore dei moderati siano nel «piantare i talloni nel passato, partire dal presente e mettersi in marcia». Una prospettiva che oggi potrebbe rivolgersi soprattutto nella capacità di lottare alla dittatura dei luoghi comuni e del politicamente corretto ma con il rigore degli argomenti e dei fatti.
    «Il Vero Conservatore è persuaso di essere se non l'uomo di domani, certamente l'uomo del dopodomani», concludeva Prezzolini.

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