Con una splendida perifrasi la Direzione investigativa antimafia (Dia) di Agrigento (il capo centro della Dia da cui dipendono le sezioni di Trapani ed Agrigento è il colonnello Riccardo Sciuto), nel presentare la confisca da 54 milioni effettuata il 27 gennaio ai danni dei fratelli Diego e Ignazio Agrò, rispettivamente di 68 e 76 anni, originari di Racalmuto, scrive che i due «seppur non organici, sono ritenuti contigui a Cosa nostra agrigentina».
Le parole sono importanti ma ancor più importante è questa operazione di confisca in una provincia dove Cosa nostra è tosta anche se non fa clamore e a testimonianza di ciò va ricordata la presenza, il 27 gennaio, del direttore della Dia, Nunzio Antonio Ferla, che ha anche incontrato i vertici giudiziari del distretto e ha reso omaggio a tutte le vittime della mafia nel corso di una visita privata al giardino della memoria realizzato dall'Unci e dall'Anm nella borgata palermitana di Ciaculli.
I due fratelli, rispettivamente di 68 e 76 anni, originari di Racalmuto (Agrigento) ma da anni residenti ad Agrigento, che producono e commercializzano olio alimentare. I decreti di confisca, emessi dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Agrigento, presieduta da Luisa Turco, nascono dalla proposta avanzata dal procuratore di Palermo Bernardo Petralia. I due provvedimenti comprendono 58 immobili, tra fabbricati e terreni, in provincia di Agrigento, a Giardini Naxos (Messina) e a Spoleto (Perugia); 12 imprese con sede ad Agrigento e provincia, a Fasano (Brindisi) e Petilia Policastro (Crotone); 56 tra rapporti bancari, postali e polizze assicurative. In Spagna sono stati confiscati sei fabbricati e tre imprese dedite a produzione e compravendita di olio.
I fratelli Agrò erano stati arrestati nel luglio 2007, nell'ambito dell'indagine “Domino 2” - relativa ad una serie di omicidi avvenuti all'inizio degli anni '90 in provincia di Agrigento - scaturita dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Maurizio Di Gati, già capo di Cosa nostra agrigentina. Erano stati condannati all'ergastolo (e poi assolti dalla Corte d'Appello, dopo il rinvio della Cassazione) per concorso nell'omicidio dell'imprenditore Mariano Mancuso, dopo che Salvatore Fragapane, all'epoca capo del mandamento mafioso, ne aveva deliberato l'uccisione.
Luisa Turco, presidentessa della seconda sezione penale per le misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento, nel decreto di confisca firmato il 17 dicembre 2014 da pagina 88 in avanti, nell'applicare a Ignazio Agrò la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, per quattro anni, scrive anche una serie di prescrizioni. Non le commento ma le elenco:
- vivere onestamente, di rispettare le leggi e di non dare ragione di sospetti;
- non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o sicurezza;
- non rincasare la sera più tardi delle ore 20 (21 durante la vigenza dell'ora legale) e di non uscire la mattina prima delle ore 7, senza comprovata necessità, e comunque senza averne dato tempestiva notizia all'Autorità locale di pubblica sicurezza;
- darsi il prima possibile alla ricerca di un lavoro;
- non detenere e di non portare armi e munizioni;
- non trattenersi abitualmente in osterie, bettole o luoghi di prostituzione;
- non partecipare alle pubbliche riunioni;
- presentarsi all'autorità di pubblica sicurezza preposta alla sorveglianza ad ogni chiamata di essa.
Stessa sorveglianza speciale e prescrizioni per il fratello. Cambia solo la pagina nella quale vengono elencate: è la 114 del decreto di confisca.
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