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Grecia, rischio di una corsa agli sportelli dopo lo schiaffo Bce

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LE TENSIONI CON ATENE

Grecia, rischio di una corsa agli sportelli dopo lo schiaffo Bce

Dopo che il presidente della Bce, Mario Draghi, ha tolto la terra sotto ai piedi al governo radicale di Syriza il vero rischio è che da oggi i greci corrano in banca a ritirare soldi, preoccupati che la crisi economica e politica precipiti e vengano imposti controlli e limiti sui movimenti di capitali come avvenne a Cipro prima dell'arrivo della troika. Già a dicembre, in vista delle elezioni del 25 gennaio, i depositi sui conti correnti ellenici erano scesi di 4 miliardi a 163 miliardi totali. A gennaio ne sarebbero stati prelevati altri 11 miliardi die uro anche se non ci sono dati ufficiali a rguardo. Senza i fondi dei correntisti, gli istituti greci rischiano di saltare e allora non resterebbe che stampare dracme e uscire dall'euro. O chiedere aiuto a Mosca che si è già fatta avanti.

L'ultimatum che la Bce ha imposto si articola cosi: dall'11 febbraio le banche greche non potranno più usare i bond sovrani ellenici come garanzia (non saranno tecnicamente eligible) per ricevere in cambio liquidità da Francoforte “perché non è più certa la chiusura dell'accordo coi creditori”. Atene, cioè, non ha più “l'ombrello di protezione” della Ue che scade a febbraio, grazie a un accordo ponte di due mesi. Senza rinnovo di questo accordo-ponte lo Statuto di Eurotower prevede che l'istituto non possa accettare come garanzia titoli “spazzatura” secondo la definizione delle tre principali agenzie di rating internazionali, tutte americane mancando ancora una agenzia di rating, di livello, europea. I bond di Atene sono junk da anni ma finora erano stati accettati grazie a una deroga eliminata ieri, che permetteva di accettarli visto che Atene era sotto protezione della troika e del suo piano di rientro. Insomma i creditori garantivano per Atene e lo status dei suoi junk bond.

Cosa può fare ora il governo Tsipras? Può continuare a usare le linee di credito d'emergenza (Ela) attraverso la banca centrale di Atene. L'accesso a questi prestiti è senza limiti ma a tassi più elevati, con un costo aggiuntivo di 1,5% rispetto alla linea di credito tradizionale che attualmente costa 0,05%”. Atene ha anche chiesto di alzare il tetto per emettere titoli a breve (Tbills) da 15 miliardi a 25 miliardi così come concordato con i creditori, ma per ora non ha ricevuto il “disco verde”, perché la strategia europea è mettere all'angolo Tsipras e far vedere che non ha alternative. Una politica rischiosa perché potrebbe indurre Tsipras a ritenere che non ha nulla da offrire agli elettori che lo hanno votato per mettere fine alle politiche di austerità. Le linee di emergenza sono a questo punto l'unico via di accesso al credito per tenere in piedi l'apparato statale: vale a dire pagare stipendi, prestiti e interessi.

Ma anche questo canale è sottoposto a verifica da parte della Bce che ne può verificare periodicamente la solidità e percorribilità. Insomma Mario Draghi ha messo con le spalle al muro il governo Tsipras e il suo flamboyant ministro delle Finanze, Yanis Varufakis. Trovare un'intesa con l'eurogruppo a breve è l'ultima strada percorribile altrimenti Francoforte potrebbe chiudere il credito. L'Europa è un'organizzazione internazionale basata sui Trattati, cioè sulle regole. Chi non le rispetta ne paga pegno. Tsipras ora lo sa, ma potrebbe reagire con una pericolosa fuga in avanti se non dovesse trovare un accordo accettabile. L'Europa rischia una nuova crisi in un momento dove sul tavolo finalmente ha tre carte a favore per la ripresa: dollaro forte, petrolio conveniente, tassi bassi.

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