OPERAZIONE DIFFICILE
In corso una campagna acquisti da parte del Governo
ma non sarà facile
sostituire l’appoggio
di Forza Italia
roma
Renzi e il governo fanno mostra di assoluta sicurezza sui numeri in Parlamento. Ma dopo lo “strappo” sul Quirinale con Forza Italia la maggioranza al Senato non può più dormire sonni tranquilli. Anche se Alfano ha assicurato il suo appoggio e quindi restano stabili i 36 voti di Area popolare, rimane la mina della minoranza interna al Pd. Basterebbe infatti che anche solo la metà dei 24 senatori che votarono gli emendamenti di Gotor si sfilasse per far andare sotto il governo. Il margine della maggioranza rispetto al quorum di 161 è esiguo, pari a 11 voti. E dopo l’annuncio di Fi di non sentirsi più vincolata al patto del Nazareno, Renzi non può più contare neppure sul “soccorso azzurro” per colmare l’eventuale dissenso interno al suo partito.
Paradossalmente, quel che più teme il governo non sono i voti sulle riforme quanto quelli su altri provvedimenti tanto strategici quanto delicati politicamente e dunque suscettibili di fronde interne.
Al momento la maggioranza può contare a Palazzo Madama su 107 senatori Pd, di cui 24 appartenenti alla minoranza interna. Qualcuno fa salire la componente dissidente a 25-30 senatori, ma a conti fatti, nell’espressione di un voto essa non ha superato mai quota 24. Ci sono poi i 36 senatori Ncd-Udc (Area popolare) e i 17 di Per le autonomie. Si aggiungono inoltre 7 di Scelta civica. Da parecchio tempo votano poi stabilmente con la maggioranza 3 senatori di Gal (Michelino Davico, Paolo Naccarato e Angela D’Onghia). Stesso discorso infine per due senatori del gruppo Misto: Salvatore Margiotta che si è autosospeso dal Pd per un processo in corso e Maurizio Rossi, indipendente di area Pd.
La maggioranza è dunque a quota 172 su un quorum richiesto di 161: dunque 11 voti.
Ma dopo il voto “trasversale” per Mattarella, i Democratici pensano di poter contare almeno su altri tre senatori di Gal - quelli vicino a Mario Mauro - che hanno votato per il candidato Pd al Quirinale e sul gruppo di 15 ex M5S che in varie occasioni si sono allineati alla maggioranza, in particolare sui sei che hanno votato a favore di Sergio Mattarella. Ci sarebbe quindi una piccola “riserva” di una decina di voti pro-maggioranza.
Numeri che, tuttavia, non garantiscono alcuna blindatura al governo. Da qui la “campagna acquisti” ancora in corso cui sta lavorando alacremente il sottosegretario a Palazzo Chigi Luca Lotti. Campagna acquisti rivolta in prima battuta ai restanti senatori di Gal (sono 15 in tutto) e agli ex grillini. Ma anche alla parte più moderata di Forza Italia. I senatori di Fi sono in tutto 60 ma al suo interno ci sono alcuni fittiani e il gruppo non è più coeso come prima dopo lo scontro interno al partito.
Si dice, ancora, che il premier voglia un ministero del Mezzogiorno anche per blandire molti parlamentari dell’opposizione provenienti da quell’area del Paese e ricondurli all’area della maggioranza. Ma l’impresa sembra assai ardua.
E in questo quadro, non fanno ben sperare certi voti recenti, tanto importanti quanto risicati. Ad esempio, alla fiducia del 3 dicembre sul Jobs act il governo contava 166 sì, solo cinque voti sopra la soglia della sopravvivenza politica. Con questi numeri insomma si rischia di camminare sempre sul filo del rasoio.
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