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Stime attendiste sull’impatto delle riforme

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Stime attendiste sull’impatto delle riforme

  • –Dino Pesole

conti pubblici sotto controllo, soprattutto grazie alla minore spesa per interessi, a fronte di una crescita del Pil che resta inchiodata attorno a un modesto 0,6 per cento. Il nuovo quadro macroeconomico diffuso ieri dalla Commissione europea considera evidentemente modesto il potenziale effetto espansivo connesso ad almeno quattro variabili: il Quantitative easing della Bce, il deprezzamento dell’euro, il calo della bolletta petrolifera, l’impatto delle riforme strutturali. L’incremento dello 0,6% coincide con la stima governativa (previsione che sconta uno 0,1% in più rispetto allo scenario tendenziale), con l’avvertenza che quest’ultima risale a ottobre, quando il manifestarsi delle nuove variabili esogene non era ancora evidente. Se ne deduce che al momento per Bruxelles prevalgono le incertezze legate alla perdurante debolezza del mercato del lavoro e della domanda interna. In primavera, quando le stime invernali verranno ulteriormente aggiornate, è possibile che vi sia un ritocco al rialzo, ma molto dipenderà dalla capacità del governo di mostrare sul campo che il percorso delle riforme strutturali è effettivamente avviato. La cautela di Bruxelles su questo punto è comprensibile, anche con riferimento al giudizio sui conti italiani fissato il 27 febbraio. Oltre al persistente pregiudizio negativo sulla capacità del nostro Paese di realizzare quel che il Parlamento approva, continua a pesare un andamento del debito che non rispetta la traiettoria di rientro prevista dalla disciplina di bilancio europea: quest’anno siamo al 133% del Pil, e solo nel 2016 si registrerà un calo al 131,9 per cento.

Con ogni probabilità si va verso un via libera alla legge di Stabilità per il 2015, poiché ora la Commissione Ue fissa allo 0,25% la riduzione del deficit strutturale per l’anno in corso, esattamente il limite previsto dalla comunicazione sulla «nuova flessibilità» annunciata nelle scorse settimane. Se si fosse mantenuto il target dello 0,5%, il governo avrebbe dovuto colmare lo scarto con misure supplementari. Resta tuttora sul tappeto l’eventualità che Bruxelles possa enfatizzare nel giudizio di fine mese l’aspetto relativo al debito, anche se questo non necessariamente preluderebbe all’apertura di una procedura formale di infrazione. Vanno considerate, almeno per il triennio che si è appena concluso, le «circostanze eccezionali» determinate dal prolungarsi della recessione.

Se questo è il quadro, pare evidente che la partita si gioca tutta sulla possibilità di agire sul denominatore. Un Pil 2015 più prossimo all’1%, con un sostenuto effetto di trascinamento al 2016 (ben oltre l’1,3% stimato da Bruxelles) aprirebbe la strada a un rientro più accelerato dal debito. Potrà soccorrere anche il programmato piano di dismissioni, pari allo 0,7% del Pil l’anno. Un elemento tutt’altro che secondario è rappresentato dall’andamento della spesa al netto degli interessi. Nell’anno in corso alla voce spending review troviamo iscritti 9 miliardi. Ne occorreranno altri 23 nel prossimo biennio.

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