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Perché non è facile armare Kiev

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Perché non è facile armare Kiev

  • –Gianandrea Gaiani

La conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco ha esasperato il confronto tra “falchi” e “colombe” intorno all’opportunità di fornire armi a Kiev. Contrari quasi tutti gli europei (Italia inclusa) guidati da Francia e Germania. Non sembra casuale che il summit Putin-Merkel-Hollande abbia coinciso con le dichiarazioni del ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, per la quale la Germania è pronta ad assumere la leadership nelle missioni militari internazionali superando i complessi storici. Quasi un monito ai “falchi” di Washington che Berlino non intende avvallare avventure militari o guerre prolungate ai suoi confini orientali.

A favore del riarmo di Kiev vi sono Polonia e Repubbliche Baltiche, tradizionalmente intimorite da Mosca, ma soprattutto un largo fronte politico-militare statunitense che si confronta con le titubanze della Casa Bianca. «Non credo sia giusto escludere l’uso di strumenti militari», ha detto ieri il generale Philip Breedlove, comandante supremo alleato in Europa, favorevole a fornire “armi e capacità” di cui l’esercito di Kiev è carente. Un rapporto realizzato da un team di esperti (tra i quali l’ex sottosegretario al Pentagono Michèle Flournoy e l’ammiraglio James Stavridis, ex comandante supremo della Nato) evidenzia come l’aiuto militare russo in mezzi e truppe (ma Mosca ha sempre negato) abbia fornito ai separatisti una metta superiorità militare e d’intelligence in grado di individuare con i droni le postazioni ucraine da bersagliare con l’artiglieria. Il rapporto intitolato “Preserving Ukraine’s independence, resisting russian aggression: what the United States and Nato must do”, precisa che l’artiglieria ha provocato il 70 per cento delle perdite tra le forze ucraine che non dispongono di droni e radar contro-batteria per rispondere con efficacia al fuoco nemico. Il report propone di decuplicare gli aiuti militari Usa a Kiev (114 milioni di dollari l’anno scorso su 350 milioni previsti entro il 2016) portandoli a un miliardo quest’anno più altri due entro il 2017 includendovi lanciarazzi a lungo raggio e missili anticarro per compensare le forniture del Cremlino al Donbass. Secondo la Nato i filo-russi impiegano infatti mezzi e armi non disponibili in Ucraina e che appartengono quindi con certezza agli arsenali di Mosca.

Fornire armi significa però impiegare consiglieri militari per addestrare gli ucraini a utilizzarle, compito assolvibile anche da contractor come quelli già più volte segnalati a Mariupol e in altre zone del fronte. I problemi delle forze ucraine non riguardano però solo le armi. Le truppe sono poco addestrate, la logistica è disastrosa, mancano carburante e ricambi. Nelle offensive degli ultimi cinque mesi, in cui i separatisti avrebbero conquistato 500 chilometri quadrati di territorio, interi reparti si sono arresi per aver esaurito le munizioni o sono stati accerchiati perché non avevano il carburante per ritirarsi. Trasformare l’armata di Kiev in uno strumento bellico efficace richiederebbe anni e molti miliardi (gli Usa ne hanno spesi 68 per le forze afghane che sono equipaggiate in modo leggero e “primitivo”) determinando l’escalation di un conflitto pieno di incognite.

Un’eventuale rottura tra gli Usa e gli alleati europei rischia di minare la Nato, già indebolita dalla sconfitta in Afghanistan e che sembra mostrare muscoli che non ha. I nuovi reparti di pronto impiego e il potenziamento degli aerei da caccia sul Baltico aumentano la sicurezza dei partner orientali dell’Alleanza ma non influiscono sul campo di battaglia ucraino e non esprimono un’efficace deterrenza nei confronti di Mosca.

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