«Per descrivere la differenza tra gli scudi fiscali del passato e la voluntary disclosure, possiamo dire che quelli erano una fotografia, e questa è un film vero e proprio».
Usa questa immagine Gerardo Longobardi, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti e degli esperti contabili, per spiegare che la voluntary disclosure è una ricostruzione storica, quindi lunga e complessa, del comportamento di chi ha nascosto ricchezze all’estero. E aggiunge: «È davvero l’ultima spiaggia per chi ha disponibilità finanziarie oltre confine e vuole evitare il rischio di non poterle più usare».
Perché secondo lei la voluntary disclosure è l’ultima spiaggia, Presidente Longobardi?
Per diversi motivi. Innanzitutto, dal 2009, anno dell’ultimo scudo fiscale, la sensibilità e l’etica internazionali sono cambiate moltissimo. C’è un atteggiamento completamente diverso nei confronti dell’occultamento di ricchezze nei paradisi fiscali, che infatti oggi sono definiti “Stati canaglia”.
Lo scambio di informazioni tra i Paesi è sempre più intenso: con l’accordo siglato a Berlino a ottobre del 2014, 58 Paesi si sono impegnati ad adottare come standard lo scambio automatico di informazioni dal 2017 e dall’anno successivo i Paesi aderenti diventeranno quasi 100. Anche la lotta al terrorismo internazionale rafforza questa tendenza alla collaborazione e a monitorare come si muove il denaro.
Bisogna tenere conto, poi, dell’introduzione del reato di autoriciclaggio (con la stessa legge sulla voluntary disclosure, ndr): chi sceglie l’emersione non è perseguibile, su questo fronte, per i fatti commessi fino al 30 settembre 2015, fino a quando, cioè, sarà possibile aderire alla procedura.
I professionisti avranno un ruolo di primo piano nella voluntary disclosure. Che impegno comporterà, concretamente, per voi commercialisti?
Per ogni cittadino che aderirà all’emersione, ci sarà un vero e proprio accertamento dell’agenzia delle Entrate. Le verifiche del professionista dovranno essere molto approfondite, in molti casi sarà necessario andare all’estero, confrontarsi direttamente con le banche coinvolte nelle operazioni. Insomma, potrebbe non essere sufficiente la finestra di tempo individuata, con la scadenza delle domande al 30 settembre 2015.
Quali sono, a suo avviso, i punti più critici della voluntary disclosure all’italiana, disegnata con la legge 186/2014?
Una prima criticità è data dal fatto che la legge sulla voluntary disclosure non esclude esplicitamente l’obbligo per i professionisti di segnalare operazioni sospette ai fini della normativa antiriciclaggio. Su questo punto, crediamo che sia necessario un intervento normativo.
Sul fronte operativo sarà difficile fare il calcolo delle somme dovute dai contribuenti tra imposte, interessi e sanzioni.
L’importo può infatti variare, a seconda dei casi e dei Paesi coinvolti, dal 4,6% a oltre il 90% del capitale investito.Ed è complicato capire come giocano il cumulo delle sanzioni e gli eventuali sconti.
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