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Banche italiane ormai poco esposte

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Banche italiane ormai poco esposte

  • –Vito Lops

BOND GOVERNATIVI

Le banche italiane hanno

in bilancio 385 milioni

di titoli di Stato ellenici,

ma nell’esposizione totale

«vincono» le tedesche

La buona notizia è che se Alexis Tsipras fosse stato eletto cinque anni fa per le banche italiane i rischi di un mancato accordo tra Atene e la Troika (Ue-Bce-Fmi) sulla rinegoziazione del debito sarebbero stati ben più alti. Perché nel 2010 gli istituti di credito italiani erano esposti verso l’economia greca per un controvalore di 6 miliardi di euro. La brutta notizia è che l’esposizione - per quanto ridotta al lumicino - c’è ancora. E ammonta a circa 800 milioni di euro, come rileva un’analisi del think tank europeo Bruegel, basata su dati della Banca dei regolamenti internazionali aggiornati al terzo trimestre 2014.

Il dato comprende sia prestiti al settore privato che acquisti di titoli di Stato ed è nettamente inferiore rispetto all’esposizione delle banche private tedesche all’economia greca nel suo insieme (10,2 miliardi di euro), così come è più basso rispetto a quello degli istituti di credito francesi (1,3 miliardi) e olandesi (923 milioni). E tuttavia, le banche italiane sono quelle più esposte al debito pubblico ellenico, che consiste in circa la metà dell’esposizione complessiva. Oltre 385 milioni di euro di titoli di Stato greci sono in pancia alle banche italiane, le uniche della zona euro ad aver aumentato tra il 2012 e il 2014 tale esposizione.

Ecco perché con uno spread tra titoli greci e i rispettivi Bund tedeschi a 10 anni che ieri è andato oltre i 1.000 punti base e con un rendimento dei titoli a 2 e 3 anni che ha superato il 20%, gli istituti di credito italiani non sorridono certo. Tuttavia, non si può ricordare la parte buona di questa notizia: ovvero che si tratta comunque di un’esposizione aggregata decisamente limitata. Quindi, dal punto di vista macroeconomico (impatto su banche e aziende italiane) l’accentuarsi delle tensioni in Grecia non rappresenta un problema impetuoso. «L’esposizione verso la Grecia resta molto contenuta da parte delle aziende italiane - spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Il settore che potrebbe risentirne di più è quello finanziario, ma solo perché questo è il canale tradizionale di propagazione della crisi. Gli effetti saranno molto più contenuti rispetto a quelli che abbiamo visto gli anni scorsi, dopo il «qe» della Bce. Non crediamo ci siano titoli che più di altri possano risentire nello specifico della crisi greca».

Il discorso cambia decisamente se Atene non dovesse riuscire a trovare un’intesa con le istituzionali sovranazionali europee minando la stessa esistenza dell’Eurosistema. A quel punto, in caso di dissoluzione dell’euro (ipotesi oggi ritenuta altamente improbabile dai mercati per quanto ieri a Wall Street sia rispuntato il timore “Grexit”), ci sarebbe una ricaduta generalizzata con effetti imprevedibili che andrebbero a colpire in particolar modo le società italiane esposte con una parte dell’indebitamento regolato in diritto estero (come Enel, Eni, ecc.) che incorrerebbero in perdite in conto capitale in caso di deflagrazione dell’Eurozona e ritorno alle rispettive valute.

.@vitolops

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