Se si dovesse guardare ai mercati, la vittoria di Syriza e la nomina a premier di Alexis Tsipras non ha per il momento fatto bene alla Grecia: da venerdì 23 gennaio (quello precedente al voto) la Borsa di Atene, pur fra alti e bassi, ha lasciato sul terreno quasi il 9%. Non è poco, ma non può essere neppure considerata proprio una sorpresa, perché in questo momento gli investitori scaricano sul listino azionario tutte le inevitabili tensioni e incertezze che si creano quando una forza che parla fuori dal coro assume il potere politico in un Paese, e attraverso il canale finanziario cercano a loro volta di mettere sotto pressione lo stesso Governo.
L’effetto è ancora più evidente sui titoli di Stato, che ovviamente sono legati in modo diretto al debito pubblico ellenico (che poi è il motivo all’origine della questione). Prima del successo di Tsipras un bond a 3 anni offriva poco meno del 10%, ieri il suo rendimento viaggiava decisamente sopra il 20%. Il fatto che sul decennale gli effetti siano in fondo meno pesanti (i tassi sono saliti «appena» dall’8,34% al 10,98%) non deve certo far tirare un sospiro di sollievo, perché in questo modo la curva dei rendimenti ha accentuato la sua inversione e un fenomeno anomalo che sotto l’aspetto tecnico riveste un significato ben preciso: penalizzando in modo maggiore le scadenze più ravvicinate, il mercato assegna una probabilità superiore all’evento «default» di un emittente, cioè a un fallimento della Grecia.
Si tratta però pur sempre di un bilancio parziale: a pensarci bene il vero movimento ribassista è iniziato già a metà dicembre, cioè da quando sono state indette le elezioni del parlamento greco. Da allora la Borsa di Atene ha lasciato sul terreno oltre un quarto del proprio valore (-26%), è iniziata l’impennata dei rendimenti e l’inversione della curva (i tassi dei titoli a 3 anni e quelli a 10 stavano entrambi attorno poco sopra il 7%): da allora è iniziato il pressing dei mercati su Tsipras.