«In gran parte delle industrie manifatturiere, gli aumenti della produttività hanno offerto capienza ai pur notevoli aumenti salariali. Il caso più evidente è forse quello dell'industria dell'acciaio, dove la produttività del lavoro è raddoppiata in meno di un decennio, sicché i prezzi dell'acciaio hanno potuto mantenersi all'incirca fermi sui livelli del 1950». Correva l'anno 1959. L'Italia era in deflazione: cioè i prezzi di beni e servizi scendevano. Ma non si trattava di una deflazione “cattiva”: come spiegava Donato Menichella, allora Governatore della Banca d'Italia, i prezzi scendevano perché le aziende producevano sempre di più, grazie allo sviluppo tecnologico. Questo permetteva loro di mantenere stabili, o in calo, i prezzi finali. La deflazione, insomma, era figlia del boom economico. Dell'innovazione tecnologica.
Sono passati 56 anni. E oggi l'Italia è tornata in deflazione. Gli ultimi dati dell'Istat segnalano che su base annua i prezzi al consumo sono scesi a gennaio dello 0,6%. Eppure la situazione economica è ben diversa da quella del 1959. L'Italia oggi ha alle spalle tre anni filati di recessione. Una crisi così prolungata ha fatto perdere molti posti di lavoro, ha ridotto gli stipendi e - dunque - ha provocato una contrazione dei consumi. Insomma: gli italiani comprano meno, perché hanno meno soldi in tasca. E questo costringe le aziende a ridurre i prezzi sugli scaffali. La deflazione oggi, dunque, è figlia della crisi.
Ma non solo. Ad avvitare i prezzi è stata anche la frenata del petrolio: senza questo effetto, il Paese avrebbe un'inflazione bassa ma non negativa. Il barile lo scorso giugno valeva infatti 115 dollari mentre ora viaggia sotto quota 60, spingendo in ribasso il prezzo della benzina e dell'energia. Questo è il lato “buono” della deflazione attuale: finché i prezzi scendono per motivi esterni, infatti, gli italiani risparmiano e dunque hanno più soldi a disposizione per tornare a spendere. Se la deflazione durasse poco tempo, dunque, potrebbe addirittura aiutare l'Italia a uscire dalla recessione: aumentando il reddito disponibile, potrebbe far ripartire i consumi. Dunque l'economia.
Il pericolo è che questo meccanismo virtuoso non scatti e che gli italiani preferiscano - per paura del futuro - mettere da parte i soldi risparmiati invece che usarli per fare shopping. E se la deflazione durasse troppo a lungo, questo meccanismo diventerebbe patologico: le famiglie tenderebbero infatti a non spendere, nella convinzione che in futuro i prezzi saranno ancora più bassi. Ecco perché la deflazione fa paura: perché se diventa uno “stile di vita” e cambia le aspettative dei consumatori, condanna a morte l'economia.
Il problema non è solo italiano: su 185 Paesi del mondo, ben 43 sono in deflazione e 88 hanno un'inflazione sotto l'1,5%. Per due motivi: da un lato perché il petrolio è basso per tutti, dall'altro perché la crisi ha frenato l'intera economia globale. È anche per questo che le banche centrali di mezzo mondo, per combattere contro questa piaga, hanno varato politiche ultraespansive: delle 36 maggiori banche centrali del mondo, calcola Morgan Stanley, ben 29 hanno una politica monetaria espansiva. La Bce è l'ultima ad attivare il «bazooka» anti-deflazione: da marzo inizierà infatti a stampare moneta. Così dopo decenni in cui il problema è stato quello dell'inflazione, oggi il mondo combatte contro il fantasma opposto. Ultimo strascico di una crisi globale senza precedenti.
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